Sugli ecobonus lo stato scarica i suoi oneri sulle imprese, dice Cna
Il nuovo governo, in continuità con il precedente, con deboli e strumentali argomentazioni, scarica sulle imprese oneri e responsabilità che appartengono in via esclusiva allo stato. È tempo che la mano pubblica risponda per intero delle proprie scelte
Intorno al sistema degli ecobonus per la riqualificazione del patrimonio immobiliare si è sviluppato un dibattito ad alta intensità nel quale spesso tendono a confondersi cause ed effetti che denotano una scarsa inclinazione alla programmazione delle politiche pubbliche, l’assenza di misurazione degli effetti di strumenti e norme che mobilitano ingenti risorse, la propensione del legislatore a modificare continuamente le norme, così che le regole del gioco diventano il gioco delle regole.
Gli ultimi interventi di modifica del governo nell’ambito del decreto “Aiuti-quater” rappresentano quindi l’occasione per una serie di riflessioni sugli incentivi all’edilizia e più in generale sulle strategie per sostenere e rafforzare il potenziale di crescita del paese.
La premessa è che il tema degli ecobonus, e in particolare del Superbonus 110 per cento, deve essere affrontato secondo due direttrici ben distinte. La prima riguarda l’architettura giuridica, la dotazione economica della misura e l’orizzonte temporale per il raggiungimento di obiettivi certi e chiari in un’ottica di sostenibilità per i conti pubblici e per il mercato di riferimento. La seconda invece deve focalizzarsi sulle criticità emerse, sulle problematiche che il meccanismo ha scaricato sulle imprese, e le distorsioni del mercato.
Sulla prima la Cna ha sempre offerto la disponibilità agli ultimi quattro governi ad aprire un tavolo di confronto per mettere ordine al sistema degli ecobonus partendo da due condizioni imprescindibili: gli incentivi per essere efficaci ed efficienti devono poggiare su un quadro di certezze giuridiche e finanziarie e avere stabilità nel tempo, un orizzonte di medio e lungo termine. Su tale presupposto si costruiscono misure e strumenti in funzione di obiettivi strategici.
La seconda invece necessita di rapidi interventi correttivi da parte di governo e Parlamento per rimuovere gli ostacoli al buon funzionamento del mercato. E non c’è alcun dubbio che il blocco della cessione dei crediti fiscali rappresenti un pericoloso vulnus per una platea di circa 750 mila imprese della filiera delle costruzioni e di conseguenza anche per lo stesso sistema finanziario. Le 11 modifiche al meccanismo per la cessione, oltre la trentina alla disciplina generale degli ecobonus, non sono estranee all’inceppamento del mercato dei crediti. Da oltre un anno tutte le forze politiche sono consapevoli che le dimensioni del problema si stanno propagando velocemente mettendo a rischio la sopravvivenza di migliaia di imprese e quindi l’urgenza di una soluzione definitiva. Tuttavia la risposta messa a punto dal governo ha tradito le attese. La possibilità di trasformare in prestiti bancari i crediti fiscali accumulati dalle imprese che hanno riconosciuto lo sconto in fattura non risponde alle aspettative. Si tratta dell’ennesimo tentativo di scaricare sul tessuto delle imprese l’onere di una obbligazione che è interamente in capo allo stato.
Tra l’altro la garanzia pubblica attraverso Sace non mette al riparo le imprese dal peggioramento degli indici di affidabilità creditizia (si tratta pur sempre di un finanziamento) e prevede una serie di condizioni che rischiano di far naufragare le “buone intenzioni” del legislatore. In particolare per accedere alla garanzia (pari al 90 per cento) il finanziamento non può superare il 15 per cento del fatturato medio dell’ultimo triennio dell’impresa.
Una nostra recente indagine mostra che quasi 50 mila imprese della filiera delle costruzioni non riescono a cedere i crediti accumulati nei cassetti fiscali e il 75 per cento dei crediti “congelati” ha una giacenza superiore a cinque mesi. Una situazione di allarme, fonte di fortissime tensioni sulla liquidità delle imprese che ne mettono a serio rischio la sopravvivenza. E si tratta soprattutto di micro e piccole imprese, le più esposte alle distorsioni del mercato.
La certezza della cedibilità dei crediti fiscali da parte delle imprese della filiera è la condizione essenziale per sostenere il meccanismo dello sconto in fattura. Una semplice verità che continua a essere ignorata da governo e Parlamento, dimenticando anche che gli ecobonus sono trasferimenti di risorse ai cittadini e non alle imprese. Quel meccanismo infatti ha stravolto il contratto tra stato e beneficiari degli incentivi. Lo stato riconosce un bonus ai proprietari di immobili per interventi di riqualificazione ma chiede alle imprese che realizzano i lavori un atto di grande generosità anticipando il valore del contratto che poi lo stato rimborserà comodamente in 5 o 10 anni a condizione che l’impresa abbia sufficiente capienza fiscale. Una modalità che obbliga le imprese a svolgere il ruolo improprio di finanziatore di lavori per conto dello stato e considera che fatturato e imposte siano quantità equivalenti nel conto economico delle aziende.
Il nuovo governo, in continuità con il precedente, con deboli e strumentali argomentazioni, scarica sulle imprese oneri e responsabilità che appartengono in via esclusiva allo stato. E’ tempo che la mano pubblica risponda per intero delle proprie scelte.
Otello Gregorini
segretario generale Cna