Il Mes spiegato a Meloni
I no alla linea di credito europea come specchio di una politica incapace di fare i conti con la realtà. Ragioni per fare presto
Ci risiamo con le discussioni sul Mes. Quelle relative all’uso della linea di credito per finanziare la sanità si esauriranno il 31 dicembre prossimo per la chiusura di tale linea di credito. Riprendono invece nel nostro paese le polemiche sulla riforma del Mes (iniziate a fine del 2019) a causa del nulla osta dato alla riforma dalla corte costituzionale tedesca, nulla osta che lascia l’Italia come unico paese dell’Eurozona a non aver ratificato la riforma. Il governo ha indicato che procederà solo alla luce di un dibattito parlamentare che, presumibilmente, avrà luogo a inizio 2023. Vale allora la pena riassumere quali sono gli aspetti principali della riforma. Spero ancora che, guardando oggettivamente alle cose, si possa capire che non ci sono motivi per cui l’Italia debba opporsi a una riforma che tutti gli altri paesi vogliono.
Primo, la riforma autorizza il Mes a utilizzare le proprie risorse per finanziare il fondo (il Single Resolution Fund o Srf) creato per facilitare la risoluzione delle banche dell’Eurozona in difficoltà, qualora le risorse dell’Srf non siano sufficienti. L’Srf trae le sue risorse dalle banche private, ma queste risorse sono limitate per cui da più parti si è invocata la creazione di una fonte di finanziamento integrativa (un “backstop”), ora individuato nell’Esm. Visto che è nell’interesse di tutti che, nel caso di una crisi bancaria ci siano risorse adeguate per proteggere non i proprietari delle banche ma i risparmiatori, non si vede perché l’Italia debba opporsi. I critici hanno notato che la riforma è volta a proteggere le banche tedesche che non stanno messe bene. Se anche così fosse, pensiamo che una crisi delle banche tedesche non avrebbe ripercussioni per l’intero sistema bancario europeo, compreso quello italiano? Ciò detto, la Germania non ha mai avuto bisogno di finanziamenti esterni per risolvere i propri problemi, compresi quelli delle sue banche. Casomai, è lo stato italiano ad aver avuto problemi di finanziamento in passato.
Secondo, la riforma da più di voce in capitolo al Mes nella decisione se i suoi prestiti debbano essere preceduti da una ristrutturazione del debito pubblico di un paese. Chiariamo. Supponiamo che un paese abbia un debito pubblico troppo alto, che non riesca a rifinanziarlo prendendo a prestito dai mercati, e che si rivolga al Mes per un sostegno finanziario. Se il debito è troppo alto lo si può ridurre in due modi: o attraverso l’austerità (tagliando spese pubbliche e alzando le tasse) o attraverso una ristrutturazione del debito, ossia cancellando parte del debito con una perdita per i creditori (tipicamente chi ha comprato le obbligazioni del paese). Occorre allora decidere se sia più opportuno procedere con una ristrutturazione del debito o senza una ristrutturazione.
Cosa fa la riforma del Mes?
Rafforza il ruolo di quest’ultimo, rispetto a quello della Commissione Europea, nel valutare se la ristrutturazione del debito sia necessaria. La Commissione Europea rimarrà responsabile del processo di valutazione della “sostenibilità del debito”, ma il Mes avrà l’ultima parola nel valutare se il paese ha la “capacità di ripagare” il debito verso il Mes. Ora, il concetto di “capacità di ripagare” il debito verso un singolo creditore (il Mes in questo caso) è leggermente diverso da quello di “sostenibilità del debito”, ma si tratta di questioni di lana caprina (che hanno anche a che fare con le tecniche statistiche utilizzate per le due valutazioni e sull’orizzonte temporale considerato) su cui è meglio non entrare. Nella sostanza la riforma comporta che il Mes potrà avere un parere diverso da quello della Commissione sulla necessità di ristrutturare il debito prima di procedere a un prestito.
Perché questa riforma?
Probabilmente perché si è ritenuto che la Commissione potesse essere troppo influenzata da considerazioni politiche, mentre il Mes avrebbe dato un giudizio più tecnico, più oggettivo.
Perché l’Italia dovrebbe essere preoccupata da questo aspetto della riforma? Qualcuno teme che, dopo la riforma, in caso di crisi del nostro paese, si possa più facilmente richiedere all’Italia di ristrutturare il proprio debito che è, per due terzi, nelle mani degli stessi italiani: una sua ristrutturazione causerebbe quindi una perdita per famiglie, imprese e banche del nostro paese. Tuttavia, in pratica mi sembra molto improbabile che il Mes, nel cui board comunque l’Italia è rappresentata, raggiunga risultati troppo diversi da quelli della Commissione. Nel caso di un disaccordo, fra l’altro, la decisione se procedere con o senza una ristrutturazione del debito spetterebbe probabilmente all’Eurogruppo, un organo comunque politico. Inoltre, l’alternativa a una ristrutturazione del debito è che la sua riduzione sia affidata interamente all’austerità ossia al taglio delle spese pubbliche e all’aumento delle tasse. Queste davvero ricadrebbero quasi interamente su famiglie e imprese italiane. Infine, la riforma è già un compromesso rispetto alla posizione dei paesi del Nord Europa che volevano che la ristrutturazione del debito fosse una condizione necessaria per la concessione di un prestito del Mes. L’Italia ha fatto bene a opporsi, e con successo, a una soluzione così drastica. E’ come se il pompiere, prima di spegnere l’incendio, ti chiedesse di abbattere metà della casa. Capite bene che i premi di assicurazione contro l’incendio salirebbero! Ugualmente, se un intervento del Mes (i pompieri) fosse condizionato alla ristrutturazione del nostro debito (abbattere mezza casa) lo spread sui nostri titoli (il premio di assicurazione) potrebbe salire. Ma è davvero improbabile che il compromesso trovato possa avere effetti sul nostro spread. Nella sostanza, abbiamo vinto la nostra battaglia al solo prezzo di dover dare un po’ più di voce in capitolo al Mes nella valutazione della necessità di ristrutturare il debito, senza che questo abbia probabilmente alcun effetto pratico. E’ un compromesso accettabile.
Un terzo aspetto della riforma ha attirato attenzione ed è pure legato alla ristrutturazione del debito. La riforma richiede che i titoli di stato emessi in futuro includano una clausola che consenta la loro ristrutturazione con una sola votazione a maggioranza qualificata degli obbligazionisti, invece che, come ora avviene, attraverso due voti, uno per i detentori di ogni singola serie, e uno per il totale degli obbligazionisti. Una sola votazione rende più facile procedere a una ristrutturazione del debito nel caso questa diventi necessaria perché il processo di doppia votazione potrebbe escludere alcune serie di obbligazioni, rendendo più complicato l’intero processo. I critici notano che se il processo di ristrutturazione è più semplice, potrebbe aumentarne la sua attrattività. Vero, ma è anche vero che, se una ristrutturazione è necessaria, almeno sia rapida. Insomma, se ti devi far tirar via un dente che almeno il dentista faccia presto.
Ultimo aspetto rilevante: la riforma rivede le linee di credito precauzionali, ossia quelle esistenti per paesi che, avendo una situazione macroeconomica migliore, possono avere forme di prestito senza condizioni o, nella sostanza, con condizionalità più limitata. Qui effettivamente c’è qualcosa da obiettare. Tra le caratteristiche che un paese deve avere per accedere a queste linee di credito ce n’è una che appare un po’ datata: se un paese ha un debito pubblico superiore al 60 per cento (come ormai quasi tutti i paesi dell’Eurozona), il debito deve scendere alla velocità prevista dal cosiddetto Fiscal compact che sarà probabilmente abbandonato nella riformulazione delle regole europee sui conti pubblici. Un residuo del passato. Ma resta un aspetto di minore importanza rispetto a tutto il resto. Non mi sembra che si possa bloccare la riforma per una questione di questo genere.
In conclusione, la riforma non sarà perfetta, è un po’ datata, ma mi sembra assurdo non procedere alla sua ratifica, anche tenendo conto del fatto che saremmo i soli a farlo e dei vantaggi che alcuni aspetti della riforma avrebbero per noi, compreso la disponibilità di un backstop per il sostegno del sistema bancario europeo in caso di una sua crisi. Fra l’altro, vari paesi hanno indicato che saranno disposti a considerare l’uso delle risorse del Mes per altri scopi per noi interessanti (come la crisi energetica) solo dopo l’approvazione della riforma. Non perdiamo altro tempo.