Foto di Stephanie Lecocq, via Ansa 

previsioni

I buoni segnali sulla crescita ci sono, il rischio di guai sul Pnrr pure

Marco Leonardi

Il governo si concentri sugli investimenti pubblici del piano. Per il 2023 infatti si prevede che i consumi non migliorino e che il rialzo dei tassi possa spiazzare i privati. Ma anche che si spendano i 40 miliardi dell'Ue, 2 punti di pil che potranno tenere a galla l'economia

C’è un certo ottimismo sulle prospettive di crescita dell’Italia nel prossimo anno. Un ottimismo giustificato solo a patto che il governo rispetti i patti sul Pnrr. È imprudente fare previsioni se non altro perché, complice l’incertezza dovuta agli eventi della guerra, un po’ tutti hanno sbagliato le previsioni di crescita per l’anno in corso: a inizio anno si prevedeva una crescita di +2,7 per cento e finiremo il 2022 con +3,9 per cento, molto meglio della Germania e anche della Cina. Più di un punto percentuale in più di crescita nonostante abbiamo speso per il Pnrr molto meno di quanto inizialmente previsto: circa 15 miliardi invece di 30 miliardi. Ma questo significa che possiamo lasciar perdere il Pnrr perché il Pnrr conta poco per la crescita? Niente affatto, tutto al contrario. Il governo deve in ogni modo curarsi degli investimenti Pnrr per evitare la possibile recessione dell’anno prossimo. 

 

Il 2023 potrebbe essere infatti l’esatto contrario del 2022: si inizia l’anno prevedendo una crescita seppur modesta dello 0,6 per cento ma c’è la grande incognita dei prezzi dell’energia e del rialzo dei tassi di interesse che prima o poi avrà un effetto sull’economia reale e potrebbe portarla in recessione. Perfettamente inutile prendersela con la Bce che deve solo fare il suo lavoro per sconfiggere l’inflazione. Ovvio che si attendano nuovi rialzi dei tassi di interesse, non solo perché questa volta la Bce lo ha proprio annunciato, ma anche perché i tassi reali (netti dell’inflazione) attesi negli Stati Uniti sono più alti di quelli prevalenti in Europa e la Bce ha iniziato più tardi la sua stretta rispetto alla Fed. Tassi reali alti sono l’unico modo per sconfiggere le aspettative di inflazione. L’unica cosa su cui si deve concentrare il governo è quindi quella che è davvero in suo potere: gli investimenti pubblici del Pnrr

 

Ci sono altre due cose che remano contro nel 2023. Nel 2022 la crescita italiana ha tenuto anche meglio del previsto grazie ai consumi privati che hanno potuto godere dei grandi risparmi accumulati nell’epoca del Covid: gli italiani (non tutti, ma una gran parte) hanno speso quello che avevano forzatamente risparmiato nell’anno del lockdown. Ma ora i salari reali sono crollati per via dell’inflazione ed è difficile che i consumi vadano così bene nel 2023. In questi anni la manifattura italiana (comprese le costruzioni) ha tenuto anche meglio di quella tedesca. Ma nel 2023 il rialzo dei tassi di interesse rischia di spiazzare gli investimenti privati. Invece di investire le famiglie e le imprese italiane e straniere, allettate da tassi più alti, compreranno (almeno speriamo) i titoli di stato che la Banca centrale non compra più. Sono attese 94 miliardi di emissioni con una Banca centrale che invece di comprare per la prima volta vende titoli di stato . 

 

La buona notizia per noi che abbiamo così tante interconnessioni economiche è che forse neanche la Germania va in recessione nonostante le grosse difficoltà di uscire dalla dipendenza dal gas russo. Nell’ottimo rapporto del German Council of Economic Advisors ci sono vari scenari ma quello prevalente dà una recessione breve e molto lieve. Se la cavano spendendo 200 miliardi a debito in 3 anni a partire dal 2023. D’altra parte siamo noi che abbiamo sempre detto che Germania doveva spendere di più per sostenere la domanda di tutti adesso non possiamo lamentarci. La loro è spesa corrente per compensare famiglie e imprese dal caro energia, non è spesa per investimenti. Il loro Pnrr (che ricordiamo essere spesa solo per investimenti) è un programma molto più piccolo del nostro. Noi invece in Italia non possiamo ricorrere alla spesa corrente ma dobbiamo solo affidarci alla spesa per investimenti del Pnrr. Se cadessimo nella tentazione della spesa corrente sarebbero guai. Il governo ha scommesso su un deficit al 4.5 per cento nel 2023 (in salita da un tendenziale che era al 3.4 per cento) ed è proprio quello il livello massimo possibile di deficit che ancora consente di tenere il debito/pil costante al 145 per cento. Se si fanno nuovi scostamenti di bilancio e il rapporto debito/pil inizia di nuovo a salire allora sono guai.

 

Non è tutto perduto, anzi. Nel 2023 si prevede di spendere 40 miliardi di Pnrr che sono più di 2 punti di pil e sono più che sufficienti a tenere a galla l’economia. C’è solo da lavorare per fare il massimo. La polemica strumentale sulle spese del Pnrr per cui il governo precedente avrebbe speso meno del dovuto sono inutili perché dovrebbe esser ormai noto che gli obiettivi da rispettare nel Pnrr non sono obiettivi di spesa. Contrariamente ai fondi europei ordinari la Commissione non ti chiede le fatture di spesa per procedere al rimborso puntuale ma ti chiede di rispettare gli obiettivi concordati ogni sei mesi in termini di risultati: bandi da pubblicare, norme da approvare e adesso anche appalti da aggiudicare.

 

Molte delle spese mancate nel 2022 si trasferiranno meccanicamente sul 2023, solo di Pnrr per le ferrovie si prevedono spese per 3,8 miliardi nel 2023 su un totale di 6,4 miliardi per le infrastrutture e trasporti. E si sa che le spese almeno delle ferrovie sono spese pressoché certe. In più l’aggiudicazione degli appalti ha avuto una forte accelerazione nell’ultimo semestre di quest’anno quindi è altamente probabile che la spesa effettiva per le opere si vedrà già nel prossimo anno. L’accelerazione nelle aggiudicazioni ha avuto anche una ragione tecnica: per usufruire del fondo da 10 miliardi per la compensazione dell’aumento dei prezzi previsto per le opere Pnrr le stazioni appaltanti dovevano aver pubblicato i bandi entro la fine dell’anno. È normale che molte stazioni appaltanti si siano affrettate: avere accesso al fondo era condizione necessaria per aprire una gara con dei prezzi a base d’asta minimamente appetibili.

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