oltre la retorica "predatoria"
Un rapporto francese ribalta la narrazione sulla colonizzazione industriale transalpina in Italia
“Gli investimenti italiani in Francia si stanno sviluppando molto più rapidamente rispetto al passato”, si legge in un dossier curato dal ministero dell'Economia di Parigi. Che però tace sullo squilibrio finanziario tra i due paesi
Sono 17 paginette che a Roma stanno facendo il giro delle scrivanie degli uomini di governo e dell’alta burocrazia. Titolo: “Italia-Francia: Rapporto economico 2022”. Co-autori: il ministero francese dell’Economia e delle finanze, l’ambasciata di Francia in Italia e il servizio economico romano della Direction générale du Trésor. Destinataria: l’opinione pubblica italiana. Obiettivo: confutare la narrazione anti-francese di una parte significativa del governo di Roma e di larghi settori della destra sulla presunta colonizzazione della nostra economia. E dimostrare, invece, la complementarietà dei suoi sistemi allontanando la retorica dell’asimmetria e della conquista a senso unico. “Gli investimenti italiani in Francia si stanno sviluppando molto più rapidamente rispetto al passato” è una delle affermazioni-chiave del Rapporto e viene subito prima di un sintetico riepilogo del Trattato del Quirinale e delle iniziative bilaterali messe in atto dall’italiana Cdp e da Bpifrance. La panoramica del commercio bilaterale non aggiunge niente di nuovo a ciò che sappiamo così come l’individuazione delle prospettive degli scambi italo-francesi. Più generoso appare lo spazio assegnato al “grande potenziale delle start up tecnologiche” degli uni e degli altri in cui si elencano casi di successo come Blablacar, Satispay, Yoox, Casavo, Newcleo e MutuiOnline.it.
Il clou arriva però con la panoramica degli investimenti incrociati. Gli investimenti diretti francesi in Italia raggiungono uno stock di 74,3 miliardi contro i 54,5 in direzione contraria ma c’è una sottolineatura nel Rapporto che ha il suo peso. “L’ammontare delle acquisizioni di aziende francesi da parte di aziende italiane dal 2007 al 2020 è pari a 47,3 miliardi contro i 37,8” delle società transalpine nel Belpaese. E subito dopo si passa alla lista dei marchi francesi di proprietà italiana: da Canson allo Champagne Lallier, da Carte Noire al Grand-Marnier, da Moncler a Roger Vivier. Nel 2021 e nel 2022 anche gli investimenti italiani non d’acquisizione sono cresciuti – il Rapporto lo sostiene con forza – e i tre casi citati sono i 60 milioni di Iveco, i 273 di Trenitalia e i 20 di Zambon. Ricco l’elenco di quelli che sono individuati come “partenariati italo-francesi” da StMicroelectronics a EssilorLuxottica passando per Thalès Alenia, Euronext e ovviamente Stellantis. C’è anche Naviris, la joint venture paritetica di Fincantieri e Naval Group (30 addetti) ma un malizioso potrebbe rammentare la complicata vicenda che ha portato il sistema Francia ad opporsi duramente all’acquisizione da parte del compianto Giuseppe Bono degli Chantiers de l’Atlantique (ex StxFrance). Il Rapporto sul tema glissa. Chi ieri ha avuto modo di consultare il prezioso materiale messo assieme dalle autorità francesi non ha potuto però osservare come sull’intricata vicenda societaria Tim-Vivendi il documento francese sorvoli, ma la carenza più evidente è un’altra: si parla di industria, commercio e infrastrutture e si tace sulla finanza.
Perché è proprio in questo settore che l’opinione pubblica italiana – e non solo il nuovo governo o la retorica della destra – ha sempre ravvisato un’effettiva sproporzione delle truppe in campo. Come si può dimenticare la force de frappe rappresentata dal dinamismo e dalle acquisizioni di Crédit Agricole, dal controllo di Bnl e dalla robusta presenza in alcune casematte dell’ex Salotto Buono? E’ giusto dare un panorama più ampio ed equanime delle relazioni italo-francesi (e in questo forse il Rapporto pecca di cultura industriale e sottostima l’importanza della partecipazione italiana alle grandi catene del valore renane) ma saltare a piè pari il ruolo degli attori più “scomodi” non è una tattica vincente.
Così come non lo è, e anzi rasenta la gaffe, il grafico di pagina 14 titolato “Alcuni top manager italiani in Francia”. Che accanto a Luca de Meo, direttore generale di Renault o Francesca Bellettini, presidente e ad di Yves Saint Laurent, inserisce anche John Elkann e Francesco Milleri per i ruoli che ricoprono in Stellantis e in EssilorLuxottica. Ma Elkann non è un manager italiano che lavora in Francia bensì con Exor il primo azionista singolo del gruppo automobilistico e Milleri non è solo il presidente e direttore generale della multinazionale degli occhiali ma anche il rappresentante dell’azionista di maggioranza Delfin. Non due manager a stipendio. Il pignolo di turno potrebbe obiettare che EssilorLuxottica ha sede legale in Francia ma allora occorrerebbe ricordargli che Stellantis la sede legale ce l’ha in Olanda. Dettagli per carità, ma le leggi dello storytelling sono implacabili. Guai a non curare i dettagli, si rischia di ottenere l’effetto contrario.
P.S. Il Rapporto dà conto anche del numero delle stelle del calcio francese che giocano in serie A: 33.