Perché nel 2023 la guerra preoccupa la Borse meno di inflazione e Cina
In un anno i mercati hanno bruciato 20 mila miliardi di dollari a livello globale. Eppure per il prossimo anno il conflitto ucraino non è in cima alle preoccupazioni degli investitori
Il 3 gennaio 2022 il mondo cercava di uscire dalla pandemia. Le politiche delle banche centrali erano accomodanti e i paesi europei cominciavano a spendere le risorse del Recovery fund. Non erano tutte rose e fiori ma c’era il rimbalzo economico post Covid a infondere ottimismo sui mercati finanziari, nonostante le interruzioni delle catene di approvvigionamento avessero già creato seri problemi all’industria manifatturiera e fatto riflettere sul ruolo della Cina nella catena globale del valore.
Poi il mondo è stato stravolto dall’invasione russa dell’Ucraina che ha scatenato una crisi energetica e inflattiva senza precedenti e in un anno i mercati hanno bruciato 20 mila miliardi di dollari a livello globale, travolgendo le azioni ma anche le obbligazioni che in genere sono anticicliche, cosa che non succedeva dagli anni Trenta con questa entità. In Europa gli indici di Borsa hanno perso circa il 12-13 per cento e a Piazza Affari le cose sono state andate anche peggio (150 miliardi di capitalizzazione in meno, di cui 100 per il calo degli indici e 50 a causa di 25 delisting). La Borsa di Mosca ha visto riflesso l’effetto delle sanzioni occidentali in un crollo del 43 per cento. Insomma, è stato un anno nero per i mercati.
Eppure, nelle previsioni per il 2023 la guerra non sembra essere in cima alle preoccupazioni degli investitori. La banca d’affari americana BofA, per esempio, nella survey di dicembre vede l’inflazione al primo posto dei rischi sistemici di quest’anno, seguita dalla recessione, da politiche troppo restrittive delle banche centrali e solo al quarto posto cita il possibile peggioramento delle tensioni geopolitiche sul fronte russo-ucraino ma anche di quello Cina-Taiwan. E’ come se in termini di rischiosità la guerra alle porte dell’Europa fosse stata sorpassata da altri fattori. Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, conferma al Foglio questa visione. “Nella mia personale classifica delle incertezze per il 2023 vedo come più pericoloso il tentativo delle banche centrali di recuperare la credibilità persa nel considerare l’inflazione come transitoria aumentando i tassi oltre il necessario – dice –. Questo vale soprattutto per la Bce che con un restringimento monetario eccessivo potrebbe creare una recessione più profonda del previsto nell’area euro. Al secondo posto metterei la Cina: sta dando la sensazione di non riuscire a controllare la nuova ondata di Covid. Ma bisogna anche dire che le riaperture proprio adesso possono avere un senso dopo l’ondata di proteste da parte di migliaia di giovani che non trovano più lavoro. E’ quasi come se il governo cinese avesse messo in conto di pagare un prezzo in decessi pur di rinvigorire l’economia che per qualche tempo ha soffocato con il risultato di trovarsi la classe media contro. C’è poi la delicatissima questione di Taiwan, ma a mio parere non è questo l’anno in cui deflagherà mentre è più probabile che la ripartenza cinese con un ritorno sul mercato delle commodity possa contribuire ad aggravare l’inflazione globale”.
La guerra russo-ucraina diventa così la terza causa potenziale di incertezza per gli investitori nel 2023 dopo essere stata la prima nel 2022. “Qualche segnale positivo è emerso dopo che la Russia si è dichiarata disponibile a riaprire le forniture di gas all’Europa, in particolare attraverso il gasdotto Yamal che arriva in Germania. E poi il fatto che Xi Jinping e Putin si siano dati appuntamento in primavera per un incontro crea in prospettiva un momento di confronto sul conflitto da cui il mercato spera possa nascere qualcosa di positivo. Intanto, il prezzo del gas è sceso sotto gli 80 dollari e il fatto che gli stoccaggi dei paesi europei stiano diminuendo a un ritmo meno veloce del previsto fa presagire che calerà ancora”. Che cosa resta del 2022 sui mercati finanziari? “Molte cose, naturalmente – conclude Cesarano – una di queste è l’apprezzamento del dollaro. I paesi europei, che prima compravano in euro da Mosca gas e altre materie prime energetiche, hanno usato in modo massiccio la moneta americana per approvvigionarsi da altre fonti. Non c’è dubbio che la guerra ha reso visibile che il dollaro e il sistema dei pagamenti Swift sono armi geopolitiche. A questo la Cina ha reagito comprando quantità massicce di oro da Mosca e diminuendo la quantità di riserve in dollari. Ma possiede ancora 900 miliardi di treasury, anche per questo motivo ci penserà più volte prima di avviare qualsiasi azione su Taiwan”.