altro che complotti
La Bce e il brutto risveglio dell'Italia da un mondo che non c'è più
Che i tassi d’interesse dovessero risalire da livelli nominali e reali negativi, era inevitabile. Come era intuibile che la resa dei conti sarebbe stata esacerbata dalla abnorme quantità di liquidità che ha sin qui tenuto in linea di galleggiamento molti debitori fragili
La fase di forti rialzi dei tassi, perseguita dalle banche centrali, sta suscitando nervosismo presso alcuni governi, soprattutto quelli a maggiore indebitamento. Il motivo è intuitivo: rendimenti più elevati aumentano la spesa per interessi e di conseguenza riducono i margini di manovra anticiclici per la spesa pubblica. Da qui, e anche se lo stock di debito ha elevata scadenza media e quindi ogni anno si rinnova ai tassi più alti solo per una frazione del totale, può derivare l’applicazione da parte del mercato di un premio per il rischio, che aumenta ciò che i governi devono pagare per ottenere che i creditori comprino il loro debito.
Come sempre, vale la regoletta della “palla di neve”, come si chiama il differenziale tra crescita del pil e costo medio del debito: se la prima eccede il secondo, a parità di ogni altra condizione, il debito inizia a sgonfiarsi.
Tutto semplice, quindi? Non proprio: l’Italia, ad esempio, da troppo tempo è la pecora nera d’Europa per l’effetto palla di neve negativo. Cioè non riusciamo a crescere più del costo medio del debito. Ciò ci costringe a ricorrere a elevati avanzi primari, la differenza tra entrate e spesa pubblica non da interessi, che deprimono ulteriormente la crescita perché si risolvono in una sottrazione netta di risorse al sistema economico.
La polemica recente, alimentata da esponenti del governo di Giorgia Meloni contro la “foga” con cui la Bce starebbe alzando i tassi, va inquadrata nell’eterno desiderio di abbassare l’asticella e restare con un costo medio del debito inferiore alla crescita, per godere della palla di neve favorevole.
A ben vedere, questo concetto, applicato ai conti di uno stato, è l’equivalente della teoria delle “aziende zombie” tenute in piedi da bassi tassi, anche se non sono in grado di sviluppare e mantenere una redditività minimale. Che i tassi d’interesse dovessero risalire da livelli nominali e – soprattutto – reali negativi, era inevitabile. Come era intuibile che la resa dei conti sarebbe stata esacerbata dalla abnorme quantità di liquidità che ha sin qui tenuto in linea di galleggiamento molti debitori fragili. Una resa dei conti che, nel caso italiano, è stata rinviata dallo shock pandemico, che ha costretto le autorità monetarie di tutto il mondo a premere l’acceleratore di una espansione monetaria senza precedenti, in parallelo a un vero e proprio lancio di denaro dagli elicotteri, attuato dalla politica fiscale. L’eccezionalità espansiva di questa situazione non dovrebbe sfuggire a nessuno, neppure ai politici e alle loro spensierate divagazioni sempre pronte a volgersi in recriminazione e vittimismo.
La “soluzione” resta sempre quella: conseguire una crescita che sia superiore al costo medio del debito. La condizione normale nel resto dell’Eurozona, e che a noi italiani da troppi anni pare invece un miraggio irraggiungibile. Si potrebbe replicare che cercare la crescita mentre il mondo si attende una recessione causata dalla frenata monetaria è lunare.
Non più di quanto fosse essersi abituati a tassi reali fortemente e artificialmente negativi. Le recessioni passano, se solo si riesce a creare e mantenere condizioni di crescita. Se invece, a ogni recessione il debitore esce indebolito e sempre più dipendente da condizioni monetarie eccezionali per evitare il peggio, c’è qualcosa che non quadra. E nessun vittimismo o grido al complotto esterno servirà per uscirne risanati, anche se politicamente paga nel breve periodo.