effetto snowball?
Tassi su, crescita giù. Il debito italiano torna a essere rischioso
La sostenibilità dell'economia tricolore è tornata nel radar degli investitori internazionali come un potenziale pericolo sistemico per l'Eurozona. Così i mercati, che finora hanno dimostrato apprezzamento per la linea del governo Meloni, potrebbero cambiare umore, cosa che preoccupa non poco Palazzo Chigi
Guarda chi si rivede, il rischio Italia. Sta tornando sui mercati o forse non se n’è mai andato, nascosto com’era tra gli altri rischi: inflazione, Cina e guerra. Il sondaggio del Financail Times, in cui nove economisti su dieci hanno detto che con l’aumento dei tassi d’interesse l’Italia diventa l’anello debole dell’Eurozona, dimostra soprattutto una cosa e cioè che la sostenibilità del debito tricolore è tornata nel radar degli investitori internazionali come un potenziale rischio sistemico.
Eppure, fino a poco fa si pensava addirittura che l’inflazione fosse una specie di manna dal cielo per i paesi più indebitati come l'Italia, perché un banale principio aritmetico fa sì che il rapporto tra debito e pil diminuisce quando il denominatore s’ingrossa grazie alla corsa dei prezzi. “L’inflazione aiuta fino a un certo punto, ma se non c’è una sufficiente crescita economica e i tassi aumentano velocemente è il numeratore a prendere il sopravvento a causa del crescente costo del debito stesso”, spiega al Foglio Alessandro Tentori, economista e chief investiment officer di Axa Im, il quale ipotizza per l’Italia il classico effetto “snowball” (palla di neve) che si verifica quando i tassi d’interesse diventano più elevati della crescita nominale. Basta andare sul sito del Mef per verificare che nel 2022 il costo medio per interessi pagati sulle emissioni obbligazionarie è stato di 110 punti più elevato rispetto al 2021-2020. In particolare, il rendimento dei titoli a 10 anni è salito sopra il 4,6 per cento (ma si è contratto leggermente i primi di gennaio) quasi quadruplicando il livello di un anno fa e 2,1 punti percentuali sopra il rendimento equivalente dei titoli tedeschi. L’effetto palla di neve vale per qualsiasi soggetto debitore. Nel debito sovrano, si verifica quando il costo del finanziamento è superiore al tasso di crescita del pil.
E’ questo scenario che potrebbe portare alla crisi finanziaria temuta dagli investitori i quali, a loro volta, ne potrebbero ampliare la portata con un sell off dei Btp. “Con l’aumento dei tassi della Bce – osserva Tentori - il costo delle nuove emissioni di titoli di stato è balzato in alto: se il fenomeno fosse di breve durata resterebbe controllabile, considerata la vita lunga del debito italiano, ma se perdurasse nel lungo termine il rating tricolore potrebbe subire pericolosi tagli”. Secondo l’esperto, per tenere sotto controllo il debito italiano ed evitare, appunto, la palla di neve, è necessario un avanzo primario di almeno l’1 per cento. In passato l’Italia ha avuto in passato un avanzo primario più positivo della media dei paesi dell’Unione ma negli ultimi anni si è ridotto, diventando negativo, e questo succedeva prima del Covid. “Cruciali, in questo senso, sono le politiche fiscali e la lotta all’evasione, fermo restando che durante una recessione è impossibile mantenere un avanzo primario positivo – prosegue Tentori –. Bisogna capire quanto sarà profonda la recessione in Europa e quanto si riveleranno seri i problemi segnalati da alcuni ministri del governo Meloni nell’implementare il Pnrr”.
Insomma, i mercati, che finora hanno dimostrato un certo apprezzamento per la linea dell’esecutivo italiano di centro-destra, potrebbero cambiare umore, cosa che preoccupa non poco Palazzo Chigi come si capisce dall’intervista a Repubblica del ministro della Difesa, Guido Crosetto, il quale definisce “incomprensibile” la scelta della Bce di cambiare politica sugli acquisti dei titoli di stato. Crosetto, però, sorvola su quanto non è stato fatto, in termini di riforme e di politiche economiche attive, per stimolare la crescita che avrebbe evitato all’Italia di trovarsi in questa situazione. “La critica più frequente nel mondo degli investitori è come i paesi più indebitati stanno rispondendo alla fine del Quantitive easing messo in atto dalla Bce a partire dal 2015 e che si è intensificato durante la pandemia – prosegue Tentori –. Il patto non scritto tra la Banca centrale europea e i governi era che nel periodo in cui il debito sovrano veniva assorbito da Francoforte si sarebbero dovuti implementare tutti gli strumenti per garantire una crescita strutturale tale da poter contrastare una fase di aumento dei tassi d’interesse che prima o poi sarebbe arrivata. Ebbene, questo, complici eventi straordinari come la pandemia e la guerra in Ucraina, in Italia non è avvenuto e con una crescita economica vicina allo zero nel 2023 si pone un problema di sostenibilità del debito ora che siamo certi che il suo costo è aumentato e probabilmente continuerà ad aumentare quest’anno per effetto del restringimento della politica monetaria”.
A poco vale lo scudo anti spread, il Tpi varato proprio dalla Bce per contrastare la frammentazione della zona euro che potrebbe verificarsi con l’aumento dei tassi perché – e questo, fa notare Tentori, è un po’ un paradosso – se l’Italia arrivasse a richiederne l’applicazione dovrebbe soddisfare quattro condizioni, tra cui proprio la sostenibilità del debito che è lo stesso motivo per cui lo invocherebbe.