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L'anno del carbone: esplode il consumo globale del combustibile più sporco

Chicco Testa e Patrizia Feletig 

Volenti o nolenti, questo combustibile presenta una larga diffusione nel mondo e a prezzi competitivi con altri combustibili. L’occidente cambi strategia 

Quando si parla di “fine dell’era del petrolio” prima o poi si trova sempre qualcuno che aggiunge “in effetti il petrolio ha i secoli contati”. Il petrolio ha recentemente sfondato il consumo  di 100 milioni di barili al giorno (ogni barile è pari a 160 litri circa) e se non è salito oltre è a causa delle limitazioni nella produzione imposta da dall’Opec e della scarsa crescita cinese, dovuta al lockdown. Ma c’è un altro combustibile di cui si parla poco se non per esecrarlo, il più sporco di tutti, il maledetto, ma anche quello il cui successo dura ininterrottamente dalla rivoluzione industriale. Tre secoli. Parliamo del carbone, che ha conosciuto quest’anno una spiccata crescita anche in questa parte del mondo, visto come alternativa meno costosa rispetto al gas. 

Ma è soprattutto se si guardano i dati di lungo periodo che i numeri “parlano”. Negli ultimi 30 anni le quantità consumate sono raddoppiate e anche se ha perso qualche  punto percentuale nella produzione di energia elettrica i consumi di elettricità sono talmente aumentati da averlo spinto verso e gli oltre 8 miliardi di tonnellate (!). E il record di consumi è, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, atteso dai dati del 2022. Germania e Polonia hanno concorso a questo record con aumenti del 19 e del 12 per cento. Ma la parte del leone la fa ovviamente la Cina che da sola consuma il 50 per cento di tutto il carbone mondiale. Va ricordato che la produzione termoelettrica è solo una parte seppur maggioritaria dei consumi di carbone. Gli usi industriali sono altrettanto  importanti in settori come l’acciaio, l’alluminio, il cemento, la carta e una parte della petrolchimica. Settori che nutrono a loro volta molti altri settori industriali e che le politiche restrittive per esempio dell’Europa hanno delocalizzato verso Cina e India in primo luogo. Soprattutto l’India con tassi di crescita dell’economia molto elevati aspira a sostituire almeno parzialmente la Cina come “fabbrica del mondo” e per questo ha bisogno di quantità sempre maggiori di carbone. Perché, volenti o nolenti, questo combustibile presenta una larga diffusione nel mondo e a prezzi competitivi con altri combustibili. Dal 2007 il consumo di carbone in India è raddoppiato. Naturalmente il carbone rappresenta anche la più importante fonte di emissioni di CO2 con circa il 40 per cento del totale mondiale. 

E qui cominciano i problemi. Perché un conto è guardare le cose all’interno della Ztl del mondo, vale a dire l’Europa, e un altro paio di maniche è guardarle dal punto di vista dei 4/5 dell’umanità che nel 2030 vivranno fuori dall’area Ocse. Il grande non detto, o detto solo parzialmente, nella lotta per diminuire l’impatto dei gas climalteranti è l’enorme divario/disuguaglianza nei consumi energetici. Asia e Africa, quest’ultima un altro miliardo e mezzo quasi di abitanti per il momento ancora parzialmente dormienti, ma anche loro in crescita, presentano consumi energetici che sono una frazione dei consumi energetici dei paesi sviluppati. Anche 1/20 o 1/30 a seconda che li si paragoni con Ue o con Usa. Pensare di poter soddisfare quel fabbisogno essenziale per la crescita economica e l’uscita dalla povertà, solo con alcune tecnologie low carbon, per esempio rinnovabili,  che escludano il carbone, è completamente illusorio. Fra l’altro proprio la crescita economica consente di ridurre i danni dei cambiamenti climatici. In Europa abbiamo speso centinaia di miliardi di incentivi per ridurre le emissioni di una quantità che pesa sul totale mondiale per una percentuale irrisoria. E infatti le emissioni globali continuano a crescere. Se si vogliono ottenere risultati significativi occorre mutare completamente strategia, fare della giustizia energetica un punto centrale e investire per portare innovazione, anche per esempio il miglioramento dei rendimenti delle centrali termoelettriche, fuori dall’area Ocse. Ma convincere l’opinione pubblica occidentale a investire somme enormi, ben oltre i 100 miliardi promessi varie volte e mai spesi, appare un compito improbo. 

 

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