Conti e prospettive
Don't be so “Sad”. Quanti danni fa la bulimia di sussidi energetici
Misure così generose, circa 60 miliardi di euro in un anno e mezzo, costituiscono una zavorra non solo e non tanto per il bilancio pubblico, ma soprattutto per la politica fiscale del governo, che prorogandole si priva di ogni spazio di manovra
La decisione del governo di non prorogare gli sconti sulle accise ha causato un testacoda. Da un lato, i partiti di maggioranza che in campagna elettorale promettevano di tagliare la fiscalità sui carburanti fanno carta straccia degli impegni presi e, di fatto, aumentano le tasse. Dall’altro, le opposizioni che non perdono occasione per invocare l’abolizione dei “sussidi ambientalmente dannosi”, oggi attaccano Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti per una scelta fiscalmente responsabile e ambientalmente sensata. Premessa: le accise italiane sono tra le più alte in Europa. Sulla benzina ci battono solo i Paesi Bassi, mentre sul gasolio siamo i primi.
L’imposizione fiscale eccede i costi esterni causati dall’utilizzo dell’automobile. Tuttavia, la flessione delle quotazioni del petrolio e il livello dei prezzi alla pompa tollerabile, benché alto, fa passare i carburanti in secondo piano rispetto ad altre materie prime, quali l’energia elettrica e il gas, interessate da rincari ben più seri. Senza contare che, se l’esecutivo vuole tagliare le tasse (come dovrebbe), farebbe bene a concentrarsi sul riordino dell’Irpef. Oltre tutto, alla luce degli obblighi di riduzione delle emissioni, è contraddittorio mettere in atto una Manovra che finirebbe per incentivare, anziché scoraggiare, l’utilizzo dei carburanti tradizionali. Questo ci porta a un secondo tema. Il Pd, l’Alleanza Verdi-Sinistra e il M5s non fanno che chiedere l’abolizione dei sussidi ambientalmente dannosi (Sad), dai quali (dicono) si può ricavare un tesoretto di una ventina di miliardi di euro.
Ma cosa sono i Sad? Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica compila ogni due anni un catalogo che li definisce “incentivi, agevolazioni, finanziamenti agevolati ed esenzioni di tributi direttamente finalizzati alla tutela dell’ambiente”. Alla luce di tale definizione, è un Sad ogni trasferimento monetario a tecnologie o comportamenti inquinanti, ma anche ogni riduzione di imposta (temporanea o permanente). Il catalogo classifica tra i Sad l’Iva ridotta sui consumi di energia elettrica a uso domestico, l’esenzione dall’accisa sull’energia elettrica utilizzata dalle ferrovie e persino le agevolazioni per le autoambulanze. In forza di questo approccio tanto restrittivo, la differenza tra il livello delle accise su gasolio e benzina (circa 11 centesimi) vale come Sad e genera un effetto (fittizio) di bilancio, nel 2020, di circa 2,6 miliardi di euro. Se Meloni e Giorgetti allineassero le accise a un livello intermedio, come abbiamo suggerito in uno studio dell’Istituto Bruno Leoni sulle cause regolatorie dell’inflazione, non solo eliminerebbero una distorsione ingiustificata, ma farebbero anche piazza pulita di uno dei Sad di maggiori dimensioni (sebbene ciò, ovviamente, non causerebbe un singolo euro di gettito addizionale).
Sarà interessante leggere la nuova edizione del Catalogo, attesa per la fine di quest’anno. Secondo i criteri utilizzati finora, quasi tutta la spesa per il contrasto del caro-energia andrebbe considerata alla stregua di un sussidio ambientalmente dannoso. E’ il caso non solo dello sconto sulle accise, ma anche degli sgravi per famiglie e imprese sul costo dell’energia elettrica e del gas, della riduzione dell’Iva sul gas e dei crediti di imposta per i consumi energetici. Si tratta di circa 60 miliardi di euro di Sad in un anno e mezzo, che fanno impallidire i circa 20 finora censiti. Il paradosso è che non solo questi sussidi non vengono contrastati, ma vengono addirittura giudicati insufficienti proprio da quelli che sperano di ottenere dalla loro abolizione denari, purtroppo, inesistenti. Queste spese così generose costituiscono una zavorra non solo e non tanto per il bilancio pubblico, ma soprattutto per la politica fiscale del governo, che prorogandole si priva di ogni spazio di manovra.
Non è un caso se, nel disegno della legge di Bilancio, la premier ha dovuto ridurre a mere bandierine quasi tutti i provvedimenti qualificanti del centrodestra per fare spazio alle misure in campo energetico. E bene ha fatto a mostrare moderazione su queste ultime, limando o eliminando quelle più costose e meno focalizzate come, appunto, la riduzione delle accise. Tra l’altro, è proprio questo enorme fabbisogno ad aver indotto il governo Draghi prima e Meloni poi a cercare risorse fresche attraverso la tassazione degli extraprofitti. Col duplice rischio di cadere sotto il peso dei ricorsi e di tagliare le gambe proprio a quelle imprese a cui si chiedono enormi investimenti per superare la crisi, ridurre la dipendenza dal gas russo e realizzare la transizione energetica.