il decreto
L'operazione trasparenza di Meloni sulla benzina è un trucco che non riduce i prezzi
L'obbligo per i distributori di esporre il prezzo medio nazionale dà un'informazione in più agli automobilisti, ma è inutile. In Italia i carburanti hanno costi diversi: la differenza tra i prezzi medi nelle province arriva fino a 15 centesimi. E non è colpa "dei furbetti" come dice Salvini
La parola magica è trasparenza. Per gestire il polverone sollevato dall’aumento delle accise sui carburanti, il governo ha deciso che i distributori di benzina dovranno esporre vicino ai prezzi praticati quello medio nazionale calcolato ogni giorno dal ministero delle Imprese e del Made in Italy sulla base dei dati forniti dai gestori. Nelle intenzioni di Giorgia Meloni e i suoi ministri la misura dovrebbe agire da deterrente nei confronti di dinamiche speculative – che finora non sono state riscontrate né dalla Guardia di Finanza né dall’Antitrust – ma non c’è alcuna evidenza che con questo nuovo obbligo i prezzi possano ridursi. Alla base c’è il pensiero espresso pochi giorni fa dal ministro Matteo Salvini secondo cui “non ci possono essere distributori che vendono la benzina a 1,70 e altri a 2,40: evidentemente c’è qualcuno che fa il furbo”. In realtà sul territorio nazionale le differenze ci sono e al netto di singoli e specifici casi i furbetti non c’entrano.
Guardando i dati medi provinciali elaborati dalla Staffetta Quotidiana emerge che tra Ancona e Lecco – la provincia più cara e quella più economica – ci sono 15,2 centesimi di differenza per la benzina e 13,6 per il diesel. In mezzo ci sono tutte le altre province italiane che forniscono un quadro anche della situazione per regione: nelle Marche ad esempio i prezzi sono più contenuti della Basilicata. Tra Roma e Milano invece la differenza è minima, nella provincia lombarda in media c’è un rincaro di 3 centesimi per la benzina e di 4 per il diesel.
I motivi, spiegano le imprese del settore, dipendono da diversi fattori. I costi logistici legati al trasporto, per esempio, che sono influenzati dalla presenza di depositi commerciali o costieri e dalla vicinanza a impianti di raffinazione. Ma fa la differenza anche la capacità commerciale degli operatori di zona e la quantità di marchi presenti sul territorio, che vendendo in regime di maggiore concorrenza tendono a praticare prezzi più competitivi.
Insomma, quando gli automobilisti di Lampedusa vedranno il prezzo medio nazionale introdotto dal decreto del governo Meloni avranno sì un’informazione in più in nome della trasparenza, ma non avranno grandi alternative e dovranno comunque fare il pieno al prezzo praticato sull’isola. Lo stesso succederà in tutte le altre città d’Italia: si può evitare l’impianto più caro e scegliere quello più economico, ma il prezzo più conveniente in una determinata zona non coinciderà per forza con quello medio nazionale. Anche per questo, usare una media provinciale come valore da esporre negli impianti potrebbe essere più appropriato per fornire agli automobilisti un dato che rispecchia le caratteristiche del mercato di riferimento, influenzato dalle specifiche dinamiche locali. L'effetto sarebbe sempre quello di offrire un confronto di massima, ma almeno più verosimile, anche se la misura resta comunque incapace di incidere sui prezzi, che dal primo gennaio hanno subìto un aumento dovuto al reintegro delle accise mentre il prezzo industriale è calato.
Per il momento Meloni ha deciso di investire le risorse disponibili su altre misure, come ha spiegato nell’ultimo video degli Appunti di Giorgia. Dopo una settimana di dichiarazioni scomposte in cui i distributori di carburante sono stati accusati da diversi componenti del governo di fare speculazione, la premier ha cambiato tono e ha spiegato che “la gran parte dei benzinai in Italia si sta comportando in maniera assolutamente onesta e responsabile” e che il decreto tutela anche loro. Poi ha rivendicato – finalmente – la scelta di non aver prorogato il taglio delle accise per motivi di “giustizia sociale” perché “è una misura che aiuta tutti, indipendentemente dalla situazione economica che ciascuno ha” mentre invece è “più sensato concentrare le risorse” sulle fasce più deboli.
L’urgenza per il governo, in questa fase di polemica, era quella di dare un segnale contro il caro benzina. Ma l’operazione trasparenza, accompagnata dall’inasprimento delle sanzioni e dei controlli, non cambierà le dinamiche alla base dei prezzi alla pompa dei carburanti, che dipendono da altri fattori. Alcuni sono strettamente industriali e potrebbero subire contraccolpi quando l’Unione europea smetterà di acquistare gasolio dalla Russia dal prossimo 5 febbraio. Altri sono invece fiscali e dipendono dal fatto che l’Italia ha le accise più care d’Europa. Riformarle nell’arco del quinquennio è la promessa della premier. Ma rinunciare a un gettito fiscale di 35 miliardi di euro all’anno non sarà semplice.