Su le accise, giù la benzina: sui carburanti i conti tornano
Non c'è nessuna speculazione né anomalia italiana. I dati del ministero smentiscono il governo
A gennaio diesel e benzina costano di più, ma l’incremento è inferiore al rialzo delle accise perché il prezzo industriale è diminuito. Il governo punta il dito contro la speculazione, ma è solo un modo per non assumersi la responsabilità di aver tagliato gli sconti
I dati pubblicati ieri dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica confermano che da inizio anno i prezzi dei carburanti sono aumentati, ma sono ben lontani dai 2,5 euro al litro strillati dai giornali.
Le statistiche del ministero riportano la media settimanale dei prezzi nazionali di benzina e gasolio. La rilevazione mostra un aumento di circa 16,8 centesimi di euro al litro per la benzina e di circa 16,0 centesimi di euro al litro per il gasolio rispetto alla settimana precedente. Un incremento attorno al 10 per cento e inferiore al rincaro delle accise. I 2,5 euro sono stati sfiorati solo in alcune zone disagiate, caratterizzate da alti costi logistici e basso erogato medio, oppure in (pochi) impianti autostradali, che in aggiunta ai normali costi devono corrispondere royalties aggiuntive al concessionario dell’infrastruttura.
La procura di Roma ha aperto un fascicolo per identificare eventuali, quanto non meglio definite, speculazioni responsabili dei rincari osservati. Oltre a questa iniziativa, i giudici dovrebbero presto occuparsi anche dell’esposto presentato dal Codacons in oltre cento procure d’Italia e nel quale si chiede di accertare eventuali “speculazioni o rialzi ingiustificati dei listini”. Il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha immediatamente dato credito a questa interpretazione e ha puntato il dito contro la speculazione. E i suoi colleghi Giancarlo Giorgetti e Adolfo Urso hanno messo in campo, rispettivamente, la Guardia di Finanza e Mister Prezzi. Un film già visto quando, a marzo scorso, la procura di Roma avviò una indagine contro ignoti per verificare possibili responsabili per l’aumento dei prezzi del gas, dell’energia elettrica e dei carburanti. E’ difficile immaginare cosa ci si aspetti di trovare frugando nei conti dei gestori degli impianti o delle compagnie petrolifere. Non solo, infatti, i prezzi sono cresciuti meno di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi alla luce dell’aumento della componente fiscale, segno che il costo industriale dei carburanti, in realtà, continua a scendere. Anche nel confronto con gli altri paesi europei non sembra esserci alcuna anomalia italiana. Il bollettino settimanale della Commissione europea mostra che, al netto delle tasse, il prezzo medio di benzina e gasolio nell’Unione europea rilevato il 2 gennaio era rispettivamente di 0,791 e 0,991 euro / litro, in entrambi casi superiore ai prezzi italiani (0,769 e 0,932 euro / litro). Gli aumenti osservati alla pompa dipendono da varie ragioni. La prima è, ovviamente, legata alla fine dello “sconto” di 25 centesimi (30 al lordo dell’Iva) introdotto da Mario Draghi e parzialmente ridotto già a dicembre da Giorgia Meloni. Secondariamente, dal 1 gennaio sono aumentati i costi di miscelazione dei biocarburanti. In terzo luogo, come notato dalla rivista specializzata Staffetta Quotidiana, le compagnie hanno ulteriormente rivisto al rialzo il “delta” che applicano rispetto alle quotazioni internazionali al momento della cessione ai distributori. Ciò dipende dalla perdurante situazione di tensione sul mercato dei prodotti, e in particolare del diesel. Infatti, sarebbe sbagliato concentrarsi sulla mera dinamica di brevissimo termine – dove ovviamente gioca un ruolo preponderante lo scatto delle accise – perdendo di vista il quadro più ampio. Il settore della raffinazione si trova da tempo in una condizione di crisi, che ha portato a un significativo ridimensionamento: delle sedici raffinerie operative nel 2009 i Italia, ne sono rimaste solo una decina.
Ma è ancora più impressionante il dato sulla capacità di raffinazione, crollata da circa 160 milioni di tonnellate annue nel 1980 a 100 nel 2000 a poco più di 80 adesso. Questa contrazione si deve sia al progressivo calo della domanda, dovuto alla sempre maggiore efficienza dei motori, sia alla concorrenza estera. Adesso però le condizioni sono cambiate: i consumi sono ripartiti (vuoi per la ripresa post pandemia, vuoi per la sostituzione del gas col gasolio in molti processi industriali per effetto del rincaro del metano). E le sanzioni contro la Russia, a cui a partire dal 5 febbraio si aggiungerà l’embargo sui prodotti raffinati, hanno fatto venire meno le forniture da Mosca. Così, oggi le raffinerie europee fanno utili record, ma questo riflette una situazione eccezionale, tra l’altro esacerbata dal dollaro forte. Non si tratta di speculazione – semmai del normale funzionamento del mercato – e certamente il problema non riguarda l’ultimo stadio della filiera, cioè le stazioni di servizio. Proprio la variabilità dei prezzi sul territorio nazionale mostra che chi vuole risparmiare può farlo, magari utilizzando la app del governo per trovare il distributore più conveniente.
La speculazione è un’ottima scusa per gettare la palla in tribuna ma non aiuta né a capire, né a risolvere i problemi. Non è neppure chiaro quale sia l’evidenza che i finanzieri e Mister Prezzi dovrebbero cercare: quale sarebbe l’ipotesi di reato? Delle due, infatti, l’una: o le compagnie e i distributori complottano per tenere i prezzi ingiustificatamente alti, ma in tal caso dovrebbe intervenire l’Antitrust. Invero, proprio ieri il Garante ha chiesto alla Gdf di “acquisire la documentazione inerente ai recenti controlli effettuati sui prezzi dei carburanti, con particolare riferimento alle violazioni accertate”: sarebbe utile sapere quali esiti abbia avuto l’analoga richiesta effettuata a marzo. Oppure non c’è nulla di strano in quello che sta accadendo, anzi: i prezzi continuano a scendere, pur collocandosi su un livello relativamente elevato, e a gonfiarli è, come è sempre stato, la fiscalità. Chiamare in causa la speculazione significa evitare di assumersi la responsabilità per un’azione, cioè la fine degli sgravi sulle accise, assolutamente ragionevole e difendibile, per ragioni ambientali e di finanza pubblica oltre che di equità. Come è stato per le bollette, gridare agli speculatori non gioverà a nessuno. Tantomeno ai cittadini. Che vedranno risorse pubbliche impiegate in inchieste che non portano a nulla e assisteranno ancora una volta all’avvelenamento dei pozzi del dibattito pubblico.