l'analisi
Anche gli altri paesi dell'Ue stanno togliendo gli sconti sulle accise
Italia e Germania sono stati tra i più “generosi” nel combattere gli effetti del caro carburanti, ma in quasi tutti i paesi europei si è ridotto l'intervento statale per far abbassare i prezzi. Solo che da noi ha pesato di più la componente fiscale
La decisione di tagliare il costo dei carburanti è stata una delle principali misure messe in campo dai governi dell’Unione europea per far fronte al grande aumento dei costi dell’energia a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. In base alle rilevazioni di Transport & Environment, Ong ambientalista europea, se ad agosto 2022 solo otto stati membri non avevano previsto tagli alle tasse sui carburanti, con l’inizio del 2023 gli unici a mantenere gli sconti su diesel e benzina sono solo Belgio, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo e Svezia.
La Germania, ad esempio, è stato uno dei primi paesi insieme all’Italia a optare per un taglio deciso delle imposte su benzina e diesel per far fronte all’impennata dei prezzi dei carburanti dopo l’inizio della guerra in Ucraina. La misura era inclusa nel pacchetto energia di marzo e prevedeva uno sconto diverso per i due prodotti. Berlino ha infatti preferito detassare maggiormente la benzina (35 centesimi, leggermente più dell’Italia) rispetto al diesel (con un taglio di circa 17 centesimi di euro al litro). Mentre Roma ha ridotto le tasse (accise e Iva) di 30,5 centesimi al litro sia per la benzina sia per il diesel. Lo sconto tedesco è terminato lo scorso 31 agosto. Per fare un parallelo con quanto avvenuto in Italia l’1 gennaio scorso, l’associazione automobilistica tedesca Adac l’1 settembre aveva stimato che il prezzo medio della benzina era di circa 25 centesimi superiore a quello del giorno precedente, quello del diesel di 10 centesimi.
Italia e Germania sono stati gli stati più “generosi” sul taglio delle accise, ma una misura analoga è stata prevista anche dalla Francia che ad aprile ha applicato uno sconto sul carburante finanziato dallo stato inizialmente di 18 centesimi di euro al litro, passato a settembre a 30 centesimi al litro e da metà novembre al 31 dicembre ridotto a 10 centesimi. Più contenuto invece l’intervento della Spagna, che sempre da aprile ha applicato uno sconto di 20 centesimi su diesel e benzina che è terminato il 31 dicembre per gli automobilisti (mentre resta in vigore per alcune categorie professionali).
In tutti questi paesi, però, la componente fiscale ordinaria pesa meno – anche molto meno in alcuni casi – rispetto all’Italia. Nell’ambito dell’Unione europea restiamo il paese con le accise più alte sul diesel e i secondi – dietro solo ai Paesi Bassi – per quelle sulla benzina. Un fattore rilevante se si vuole capire l’incremento dei prezzi osservato a inizio 2023 dopo la fine dello sconto. A scagionare il settore petrolifero italiano dall’accusa di “speculazione” c’è l’andamento della componente industriale del prezzo del carburante, ovvero quella al netto delle imposte (accise e Iva), che nella settimana successiva al 31 dicembre è addirittura diminuito – restando anche leggermente inferiore alla media europea – mentre il prezzo finale di benzina e gasolio aumentava. Segnale che se si cerca il “colpevole” la lente di ingrandimento deve puntare proprio sulla componente fiscale, che invece è superiore alla media europea.
Per abbassare il prezzo dei carburanti si parla anche di imporre un tetto ai prezzi di benzina e diesel venduti in autostrada, una misura però che non ha riscosso grande successo in Europa e ha creato più di un grattacapo ai governi che hanno deciso di forzare il mercato imponendo un price cap per il rifornimento. E’ il caso dell’Ungheria che a inizio dicembre si è trovata costretta ad abolire dopo un anno la misura – che sarebbe scaduta il 31 dicembre – a causa della scarsità di carburante disponibile del paese a seguito del crollo delle importazioni e della corsa al rifornimento generata dalla paura di rimanere a secco. Le compagnie petrolifere straniere hanno infatti limitato le consegne di carburante all’Ungheria dopo la decisione del governo Orbán di fissare il prezzo per gli automobilisti. Resiste invece tale misura in Croazia e Slovenia tra le proteste dei distributori di carburanti che lamentano la difficoltà di garantire forniture stabili e affidabili.