l'agitazione il 25 e 26
Dopo le accuse del governo di speculazione e il decreto, i benzinai confermano lo sciopero
I prezzi dei carburanti scendono, ma la tensione sale tra gestori di pompe e governo
I benzinai non ci stanno a passare per speculatori e delle parole del governo non si fidano più. Per questo le rassicurazioni del ministro Adolfo Urso, che i rappresentanti dalla filiera hanno incontrato oggi a Palazzo Piacentini, non sono bastate a disinnescare lo sciopero indetto per la prossima settimana. Ma se nessuna delle tre sigle sindacali dei gestori parla di revoca, si capisce tra le righe che il fronte esce spaccato dall’incontro. I più intransigenti chiedono a Palazzo Chigi di impegnarsi in un accordo scritto. Le richieste riguardano interventi strutturali sul settore. Ma soprattutto una modifica del decreto varato per rispondere in fretta al “falso allarme” sul caro benzina. Dalla loro parte i benzinai hanno i numeri. Quelli pubblicati ieri dal ministero dell’Ambiente dicono senza ambiguità che non c’è nessun rincaro dei prezzi alla pompa e dunque nessuna speculazione.
L’incontro è iniziato con i peggiori presupposti. Dopo la tregua siglata venerdì a Palazzo Chigi, sabato scorso la pubblicazione del decreto ha infranto ogni speranza di vedere modificati i passaggi ritenuti più critici. In particolare quelli relativi a controlli e sanzioni per i nuovi oneri introdotti dal provvedimento. Le multe previste possono arrivare fino a seimila euro se i gestori non comunicano ogni giorno i prezzi praticati al ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit). “Da parte del governo c’è sempre disponibilità alle modifiche. Ovviamente va seguito il percorso parlamentare”, ha detto ai sindacati il ministro Urso, arrivato all’incontro con più di un’ora di ritardo per impegni in Senato. Giovedì è in programma un nuovo confronto e almeno una delle tre sigle sindacali sembra ottimista: “Il governo sta lavorando a soluzioni che pur garantendo la massima trasparenza sugli impianti non impongano oneri quotidiani eccessivi ai gestori, disinnescando la questione delle sanzioni. Sarebbe la strada giusta”, ha dichiarato Giuseppe Sperduto, presidente di Faib Confesercenti. Ma dal Mimit filtra l’idea che sulle sanzioni il governo terrà alta l’asticella e le imprese soffrono proprio questo clima da caccia alle streghe che non ha alcun effetto sull’andamento dei prezzi. La settimana è iniziata con le ispezioni dell’Antitrust nelle sedi delle principali compagnie petrolifere che operano sul mercato italiano, Eni, Esso, Ip, Kuwait e Tamoil, con l’obiettivo di verificare che i marchi abbiano fatto quanto possibile “per prevenire e contrastare le condotte illecite a danno dei consumatori”. Le violazioni a cui si riferisce l’autorità riguardano per la maggior parte la mancata comunicazione al ministero dei prezzi praticati. Ma non sembrano essere emersi comportamenti di natura speculativa.
Secondo il monitoraggio del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aggiornato oggi, nel corso della settimana scorsa i prezzi medi nazionali di benzina e gasolio sono rimasti sostanzialmente stabili rispetto a quella precedente, fermandosi rispettivamente a 1,813 e 1,863 euro per litro contro 1,812 e 1,868. E questa è una buona notizia anche perché l’embargo europeo ai prodotti petroliferi russi in vigore dal 5 febbraio sembra non avere ancora avuto riflessi sul pieno degli automobilisti. Almeno per il momento. Nella prima settimana di gennaio la componente industriale si è addirittura ridotta, tanto che, a fronte di un aumento di accise e Iva di 18 centesimi a litro, i prezzi alla pompa sono cresciuti di 16 centesimi. Il trend era già in corso dalle settimane precedenti e infatti la progressiva riduzione del prezzo dei carburanti ha praticamente compensato anche l’aumento della componente fiscale di 12 centesimi che è scattata a dicembre.
Anche in virtù di questi numeri i sindacati Fegica e Figisc/Anisa chiedono al governo di spostare l’attenzione sugli impianti che non rispettano gli obblighi di legge imposti sui contratti di gestione e gli accordi collettivi. Un provvedimento ritenuto urgente da adottare, “posto che almeno il 60 per cento dei gestori è senza contratto o con contratti illegali e condizioni economiche minime”, dicono i sindacati. Oltre al decreto sulla Trasparenza c’è infatti il tema della legalità nel settore, che questo pomeriggio i rappresentanti di categoria hanno posto al ministro e ai suoi collaboratori. Non c’erano solo i sindacati ma tutta la filiera, comprese le aziende petrolifere rappresentate da Unem. Nel medio periodo la richiesta è quella di lavorare a una riforma del settore “volta a chiudere 7.000 impianti, che secondo una stima prudente sono attualmente nelle mani della criminalità”. C’è poi il discorso degli impianti in autostrada, spesso additati per i prezzi praticati più alti della media. I sindacati chiedono che venga aperto un confronto sul decreto ministeriale che regola le concessioni per ritoccare le royalty versate dai gestori. “Il tutto – dicono Fegica e Figisc/Anisa – deve trovare collocazione all’interno di un accordo sottoscritto in sede di Presidenza del Consiglio, ad indicare la collegialità dell’intero governo e sottrarre la vertenza in atto a qualsiasi speculazione all’interno della maggioranza”.