Il “regalo di Natale della Bce” inizia a dare i suoi frutti
Il tasso d’interesse (yield) sui titoli di stato italiani a 10 anni è sceso sotto il 4 per cento grazie anche alle decisioni della Banca centrale europea a dicembre. Una scelta che un mese fa venne aspramente criticata dal governo italiano
Alla chiusura dei mercati di giovedì 12 gennaio, il tasso d’interesse (yield) sui titoli di stato italiani a 10 anni è sceso sotto il 4 per cento. Questo livello è inferiore a quelli registrati nei giorni successivi al 15 dicembre 2022 quando la Banca centrale europea (Bce) ha aumentato il tasso di rifinanziamento al 2 per cento e segnalato una politica monetaria futura restrittiva dato l’andamento dell’inflazione. Com’è possibile, quindi, che i tassi d’interesse italiani siano diminuiti, al netto dell’impatto meccanico iniziale, date le mosse della Bce?
In questo intervento spieghiamo che, a differenza di quanto percepito, i tassi italiani sono oggi inferiori al livello di metà dicembre grazie (anche) alla Bce e non nonostante la Bce.
Prima di spiegare le ragioni tecniche dietro la discesa dei tassi ricordiamo che la politica italiana aveva aspramente criticato il rialzo dello scorso dicembre. Ad esempio, il ministro della Difesa Guido Crosetto scriveva su Twitter: “Non ho capito il regalo di Natale che la presidente Lagarde ha voluto fare all’Italia”, seguito da: “Per chi non avesse capito l’effetto di decisioni prese e comunicate con leggerezza e distacco” e infine: “Negli Stati Uniti l’inflazione è da surriscaldamento domanda. In Europa è per buona parte ‘importata’ per prezzi dell’energia. Non ha senso alzare i tassi. Poi aumentano requisiti di capitale delle banche (che quindi contrarranno credito) e lanciano il tightening sui titoli di stato? Folli!”.
Sulle colonne di questo giornale ci eravamo permessi in quel frangente di dissentire, spiegando le ragioni della Bce e i rischi che la politica monetaria mitigava. Come ricordato in apertura, l’andamento dei tassi da allora a oggi dà ragione a Francoforte.
Dietro la discesa dei tassi italiani vi sono due fattori. Il primo sono i prezzi energetici più favorevoli rispetto alle attese. Il secondo fattore, certamente più importante, riguarda la struttura dei tassi d’interesse, in particolare la relazione tra i tassi a breve controllati dalla banca centrale e quelli a lungo che determinano l’impatto sull’attività economica e sul costo del debito. Tecnicamente, i tassi a lungo (ad esempio il decennale italiano) sono una media dei tassi a breve attesi in futuro. Il punto cruciale, e generalmente controintuitivo, è che l’intervento della banca centrale manda un messaggio ai mercati della propria volontà di controllare l’inflazione. Così facendo, la Bce ha iniziato a ridurre il rischio che l’inflazione rimanga elevata in futuro e che anche i tassi a breve (e conseguentemente i tassi a lungo) restino elevati. Detto in termini più semplici, dato un fenomeno inflativo come quello attuale, è preferibile una politica monetaria aggressiva, poiché più decisa è l’azione monetaria oggi e meno tempo occorre per controllare l’aumento dei prezzi, ovvero meno elevati risultano i tassi a lungo già oggi e meno doloroso è l’impatto sull’attività economica.
La storia insegna che il controllo dei prezzi è un campo minato e che occorre una banca centrale determinata. L’inflazione di fondo nell’area euro è ancora alta e non stupirebbe se continuassimo a ricevere dati robusti per qualche mese. Ma il 15 dicembre 2022 la Bce ci ha fatto un vero regalo, seppur non nel senso inteso dalla politica italiana. Il controllo dell’inflazione è condizione necessaria, ma non sufficiente, perché i tassi italiani restino moderati. La Bce ha comunicato ai mercati che qualora dovessimo avere altre sorprese nei dati non esiterebbe a intervenire ulteriormente, facendoci così un nuovo favore. Poiché se non lo facesse finirebbe col porre le basi per alta inflazione e alti tassi in futuro. Insomma, la Bce ha fatto la sua parte e qualche frutto è già visibile. L’augurio è che anche i governi nazionali facciano la loro.