Pessimismo no, grazie
Dall'inflazione alla crescita. Il Forum economico di Davos dà una grande lezione ai gufi
Per la recessione ci sono antidoti, l’economia mondiale è più solida del previsto e anche per l’Italia c’è qualche buona notizia: può ancora trarre vantaggio dal trascinamento della eccezionale crescita del 2022. Le incognite restano la Cina e la guerra in Ucraina
A Davos sono ottimisti, lo dice il Financial Times e a noi può solo far piacere. Non siamo soli, niente più profeti di sventura sotto la montagna incantata. “C’è ancora vita nel capitalismo”, ironizza Martin Wolf, globalista non pentito che analizza il nuovo modo in cui si sta riorganizzando il mercato mondiale, compresi i rischi di una divisione in aree economiche chiuse e in competizione tra loro, cedendo alla tentazione della “somma zero”, una iattura secondo l’Economist che vi ha dedicato la storia di copertina.
Molte cose stanno cambiando e altre ne cambieranno ancora, siamo nel bel mezzo di una gigantesca transizione economica, sociale, politica; lo si dice da tempo, ma forse nessuno ci crede davvero, nemmeno chi ne parla. Una transizione che provoca vinti e vincitori. Proprio ieri Nicolai Tangen, capo del Fondo sovrano norvegese, uno dei maggiori al mondo, ha messo in guardia dalla concreta possibilità che i guadagni di Borsa quest’anno diventino veramente bassi anche perché le banche centrali hanno alzato i tassi d’interesse con l’obiettivo di ridurre l’inflazione. Ci stanno riuscendo. Carlo Bonomi, presidente della Confindustria che pure nei mesi scorsi si era lanciato in cupe previsioni, è convinto che nella seconda metà dell’anno la dinamica dei prezzi rallenterà in modo considerevole perché si spegne la fiammata del gas e delle materie prime. Certo, prima di cantare vittoria bisognerà guardare all’impatto sui conti delle imprese. Microsoft ha annunciato che taglierà diecimila posti di lavoro per ridurre i costi e segnala che il problema numero uno per chi produce è salvaguardare la competitività, ciò vuol dire produrre di più per unità di lavoro. L’occupazione, cresciuta ovunque anche in Italia nell’ultimo biennio, diventa in questo modo l’incognita più importante.
La bestia inflazionistica è al guinzaglio, adesso bisogna stare attenti al suo colpo di coda, cioè la ricaduta su domanda e produzione. Al World economic forum Gita Gopinath, la capo economista del Fondo monetario internazionale, ha detto che le previsioni verranno riviste al rialzo: anziché un anno più duro, il 2023 ci riserva un netto miglioramento. Anche il Fmi s’è tolto la maschera da gufo. Ormai sta diventando opinione diffusa che non ci sarà nessuna recessione, ma solo un rallentamento, la crescita resterà positiva anche se di poco. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz lo ha dichiarato all’agenzia Bloomberg. Daniel Pinto capo di JP Morgan Chase parla di “resilienza”, parola di moda che indica la capacità di adattamento e la flessibilità dell’economia di mercato capace di cambiare volto e ricominciare. Il capitalismo è Proteo, quando si crede di averlo afferrato, piegato, soggiogato ai propri voleri è già diventato diverso. La pandemia non è ancora finita e infuria la guerra in Ucraina, eppure resta solida una economia mondiale dove gli Stati Uniti hanno recuperato la spinta propulsiva anche perché la Cina è paralizzata dalla folle politica dell’ultimo imperatore. Xi Jinping ha ottenuto un nuovo mandato che lo rende il più longevo presidente dopo Mao, ma proprio come il suo modello, rischia di restare nella storia per le inutili sofferenze che ha inflitto al proprio popolo.
La mancata ripresa della Cina è una delle incognite maggiori. L’altro grande interrogativo riguarda il conflitto in Ucraina. Finirà? Come e quando? Bruno Vespa nella sua intervista televisiva a Volodymyr Zelensky, ha incalzato con ansiosa sollecitudine il presidente ucraino. Finirà in primavera? Forse in estate? O comunque entro l’anno? Non ha avuto che risposte vaghe, non poteva essere altrimenti. L’aiuto alla resistenza ucraina è di mese in mese più consistente, ma incontra difficoltà non previste di carattere soprattutto industriale non finanziario. E’ un luogo comune che le guerre per quanto terribili facciano bene all’economia, ma non è sempre così. Cominciano a manifestarsi strozzature nell’offerta di armamenti, scarsità (si pensi alle munizioni), spiazzamento delle risorse che prima venivano usate per scopi pacifici. Queste difficoltà possono essere superate, ma richiede tempo, la riconversione non avviene in un batter d’occhio.
Una volta raggiunti i nuovi equilibri, l’effetto meramente economico potrà diventare positivo, intanto le imprese e i governi dovranno risolvere una serie di problemi complessi.
Come si colloca l’Italia in questo scenario? Nient’affatto male. Può ancora trarre vantaggio dal trascinamento della eccezionale crescita del 2022, quindi il pil aumenterà sia pur di pochi decimali. Ma c’è di più: famiglie e aziende hanno dimostrato una grande capacità di risparmiare le risorse energetiche. I consumi si sono ridotti non solo per il caldo superiore alla media, ma per un utilizzo più efficiente del gas e grazie al prezzo elevato. Intanto la dipendenza dalla Russia è ridotta al minimo. Abbiamo trascorso mesi durante i quali il circo politico-mediatico gridava al lupo, minacciando un inverno al freddo e al gelo, con lo svuotamento delle riserve a febbraio e un impoverimento generalizzato a causa del caro tariffe.
Per lo più, pura propaganda. Oggi i prezzi del gas a chilowattora sono di 50 euro circa, con una discesa dell’85 per cento rispetto all’agosto scorso. Gli effetti si vedranno sulle prossime bollette. Quelli del petrolio erano già in ribasso mentre sulla benzina, accise comprese, assistiamo al solito psicodramma da commedia all’italiana. Il tema più serio di politica economica in questo inizio anno, riguarda senza dubbio l’atteggiamento della Banca centrale europea. Non perché siano aumentati i mutui (la maggior parte sono a tasso fisso) né per un costo del denaro eccessivo (con una inflazione all’8 per cento e rendimenti dei Btp decennali al 5 per cento, è ancora negativo), ma per l’impatto del combinato disposto tassi d’interesse in crescita e titoli di stato in vendita da parte della Bce. Quel che viene chiamato “ritorno alla normalità” può incidere negativamente sulle aspettative diventando così una miscela micidiale. Per l’Italia sono guai, però nessuno verrebbe risparmiato. Niente colpi di testa, madame Lagarde, avanti con giudizio.