suggerimenti
Per una riforma fiscale che abbassi le tasse serve una spending review incisiva
Interventi marginali che non condizionano i meccanismi di spesa e obiettivi di spesa ridotti. La strada giusta è riprendere la proposta del vecchio governo: il cambio di fiscalità a costo zero
Al 31 dicembre 2022 tutte le condizioni previste dal Pnrr erano state raggiunte. Pur trattandosi, in buona misura, di condizioni di carattere formale, non era un risultato scontato. Testimonia tanto l’impegno del precedente governo quanto lo sforzo di quello in carica. Per una volta un cambio di esecutivo non è coinciso con uno stallo. All’interno di quelle condizioni, una parte significativa (oltre un terzo) riguardava le riforme. Sarà così anche nel 2023.
Per i prossimi mesi già si preannuncia una complessiva proposta governativa in tema di riforma fiscale e l’aspettativa è che coincida con una riduzione significativa della pressione fiscale. A sua volta presupposto per una crescita più sostenuta nel medio periodo. L’atteggiamento responsabile del governo in tema di finanza pubblica e, più in generale, il principio di realtà permettono di escludere che si possa parlare di una riduzione della pressione fiscale ottenuta in disavanzo, il che rende centrale quanto previsto dal Pnrr in tema di rafforzamento delle misure di revisione della spesa. È il Pnrr, del resto, a sottolineare come si tratti di misure intese a consentire una “maggiore efficienza della spesa ed efficacia delle politiche pubbliche, anche al fine trovare spazi fiscali che consentano di rendere maggiormente sostenibili le dinamiche della finanza pubblica e di destinare risorse al finanziamento di riforme della tassazione e della spesa pubblica”.
Il Pnrr prevedeva che il Def indicasse gli obbiettivi di risparmio conseguenti al processo di revisione della spesa per il triennio 2023-2025. Cosa puntualmente accaduta e poi ribadita nella legge di Bilancio da poco approvata: 0,8 miliardi nel 2023, 1,3 nel 2024 e 1,5 nel 2025. Una goccia nel mare della spesa pubblica, che si prevede possa superare nel 2023 gli 870 miliardi (715 al netto degli interessi). Nulla che possa lasciar pensare a una riduzione minimamente apprezzabile della spesa e che, di conseguenza, possa aprire la strada per una apprezzabile riduzione del carico fiscale. Si può seriamente pensare di fare di più?
L’ultimo degli adempimenti previsti dal Pnrr nel 2022 su questo argomento era una valutazione, a cura della ragioneria generale dello stato, dell’efficacia delle prassi ministeriali in tema di revisione della spesa. Un’attività ormai parte integrante, dal 2009, del processo di bilancio. La lettura della relazione, relativa ai programmi di revisione della spesa 2018-2020, aiuta a capire perché, rebus sic stantibus, è illusorio pensare di fare di più e permette di capire perché l’entità dei risparmi previsti per il triennio 2023-2025 sia sostanzialmente identica a quella ipotizzata per il triennio 2018-2020. Ciò che emerge dalla relazione è la difficoltà che le nostre amministrazioni centrali incontrano nel processo di valutazione e controllo delle politiche pubbliche che esse stesse sono chiamate a mettere in atto.
Non avendo un’idea chiara di quel che fanno, del come lo fanno e del perché lo fanno, le nostre amministrazioni tendono a ipotizzare interventi di revisione della spesa di scarsa efficacia e frammentati su una gamma ampia di voci di spesa. Interventi marginali – spesso vicini, nella logica, ai tagli lineari – incapaci di incidere in profondità sui meccanismi di spesa e sulla loro efficienza. Si capisce allora perché gli obbiettivi di revisione della spesa siano di entità così ridotta. Essi esprimono, infatti, la convinzione che le attuali amministrazioni pubbliche non possano, non sappiano (e, molto probabilmente, non vogliano) fare più di tanto.
Stando così le cose, un modesto suggerimento al presidente del Consiglio e al ministro dell’Economia si impone: se l’obbiettivo è una vera riforma fiscale accompagnata da una riduzione percepibile della pressione fiscale, è al processo di revisione della spesa che bisogna guardare e senza indugio. Per tenere, certamente, conto delle tante indicazioni presenti nella relazione della ragioneria dello stato o nei recenti rapporti di alcune istituzioni internazionali ma anche per trasmettere fin da ora un messaggio chiaro ai vertici politici delle diverse amministrazioni. Un messaggio che possa tradursi, in primavera, in obbiettivi di dimensioni non risibili come è accaduto fino ad ora. L’alternativa è molto semplice: riprendere l’indicazione implicita nella proposta di riforma del sistema fiscale avanzata dal precedente governo e cioè l’ipotesi di una riforma a costo zero, poggiata su spostamenti del carico fiscale fra le diverse voci di entrata a pressione fiscale invariata. Una dichiarazione di impotenza inevitabile, forse, per la precedente maggioranza ma che per l’attuale potrebbe essere esiziale.