giorgia guarda mattei
Dall'Algeria Meloni rilancia l'idea dell'hub del gas. Ma i primi problemi sono in Italia
La premier incontra il presidente Tebboune e programma altri viaggi in Nord Africa per definire i contorni di quello che chiama Piano Mattei. Ma per esportare gas verso l'Europa i colli di bottiglia sono tutti interni. “Sarebbe meglio visitare Piombino che Algeri”, dice Massimo Nicolazzi
La prima tappa è stata l’Algeria, ormai primo fornitore di gas dell’Italia. Ma nei piani di Giorgia Meloni ci sono altri viaggi in Nord Africa per definire i contorni di quello che la premier chiama Piano Mattei. L’obiettivo è tessere relazioni commerciali con i paesi africani “in cui entrambi i partner devono essere soddisfatti e crescere”, ha spiegato, ispirandosi all’approccio con cui Enrico Mattei ha guidato l’espansione africana dell’Eni tra gli anni ’50 e ’60. Meloni vuole rendere l’Italia capofila nei rapporti con i paesi dell’altra sponda del Mediterraneo nonché “l’hub fondamentale per la distribuzione di energia in Europa”. Il messaggio, s’intende, è rivolto anche a Bruxelles. “L’Ue deve pensarci, chiedendosi se c’è un interesse energetico e se non abbia senso coordinarsi. E’ chiaro che l’Eni su questo aspetto ha un vantaggio competitivo”, commenta al Foglio Massimo Nicolazzi, senior advisor per la Sicurezza energetica dell’Ispi.
“Sono scettico che ci possa essere una possibilità di coordinamento per quel che riguarda il gas. Ma è diverso per gli altri progetti come le rinnovabili – dice Nicolazzi – intorno a cui può nascere una collaborazione industriale tra imprese europee. L’Eni ha il vantaggio di saper trattare con i paesi in via sviluppo e per questo è in una condizione di supremazia”. Il viaggio ad Algeri di Meloni, accompagnata dall’ad di Eni Claudio Descalzi, è proprio un segnale per dire che l’Italia è disponibile ad avviare un’iniziativa che coinvolga tutta l’Unione europea, come ha sottolineato la stessa premier durante la conferenza stampa con il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune. La proposta di un “Piano Mattei è una mossa intelligente”, commenta Nicolazzi: “L’Europa non si rende conto che la politica ambientale è soprattutto politica estera e che se non interveniamo sul sottosviluppo africano i problemi migratori nei prossimi anni aumenteranno”.
L’altra suggestione di Meloni invece riguarda la possibilità di fare dell’Italia il paese di transito del gas verso l’Europa. Non un’idea inedita. “Era la grande sinfonia del primo decennio del secolo”, ricorda Nicolazzi. Ma trasformare l’Italia in un hub del gas nei primi anni 2000 significava scontrarsi con la solidità delle forniture russe, che da nord attraversavano l’Europa arrivando a sud. Oggi invece la guerra ha stravolto tutto e c’è spazio per altre iniziative, con la premessa che i colli di bottiglia sono ancora molti e in parte legati a vecchi difetti italiani. “Se il governo vuole fare dell’Italia un hub del gas dovrebbe fare visita a Piombino invece che ad Algeri”, nota l’esperto, manager di lungo corso anche per Eni. Il motivo è che, nel mercato del gas che sta nascendo dopo il conflitto, il gas naturale liquefatto (Gnl) ha un ruolo centrale. “Rispetto alle capacità attuali le importazioni in Europa possono crescere solo via nave, se escludiamo il raddoppio del Tap che sarà completato in tre o quattro anni”. Il gas algerino via Transmed verso l’Italia – che nel 2023 dovrebbe aumentare di altri 3 miliardi di metri cubi raggiungendo quota 28 miliardi – non è comunque abbastanza per pompare gas verso nord. E così la nave rigassificatrice di Snam, contestata anche dal sindaco meloniano della città toscana, sarà fondamentale insieme all’altra analoga di Ravenna per accogliere i carichi di Gnl che arriveranno proprio dall’Africa, nei paesi dove Eni ha in produzione diversi giacimenti. Insieme aggiungeranno 10 miliardi di metri cubi di capacità rigassificatrice. E non sarà comunque sufficiente. “Per poter esportare significativamente abbiamo bisogno di mettere in funzione almeno altre due navi”, continua Nicolazzi. Il problema è che se anche si volesse accelerare sul fronte delle infrastrutture interne – ignorando tutte le eventuali barricate – ci sarebbe da fare i conti con i piani europei di decarbonizzazione. “E’ difficile pensare a qualsiasi investimento senza una garanzia statale. Se diamo retta ai programmi europei tra pochi anni ci sarà un surplus di infrastrutture per il gas. Non è un caso che la Germania abbia già messo in funzione tre rigassificatori ma con un massiccio investimento pubblico: in mancanza di una Eni si è dovuta rivolgere a Trafigura”. L’altra strozzatura del sistema riguarda le autorizzazioni. E anche in questo caso, più che un viaggio in Nord Africa Giorgia Meloni dovrebbe farne uno in Friuli Venezia Giulia. “Snam sta aspettando di poter completare alcuni lavori a Tarvisio, dove c’è un punto di connessione con la rete europea. Ed è fondamentale concludere gli interventi anche sulla Dorsale adriatica. Senza questi adeguamenti non ci potrà essere nessun corridoio del gas dal Mediterraneo verso l’Europa”. Dopo, chissà.