l'analisi
Il futuro di Enel spiegato con l'aiuto dei mercati (e con un confronto)
La società ha intenzione di abbandonare gli investimenti non più redditizi e strategici per liberare risorse più fruttuose. In particolare le energie rinnovabili. Ma i conti ancora non tornano
La tedesca Uniper messa in sicurezza dal governo con un aumento di capitale da 8 miliardi di euro, col quale la principale utility della Germania è stata nazionalizzata. La Francia invece di miliardi nel ha messi sul piatto ancora di più, ben 9,7, per tirare fuori Edf dalle secche della crisi e dallo spettro del fallimento, portandola totalmente sotto il controllo diretto di Parigi e alle dipendenze del ministero a Bercy. La crisi energetica scatenata dal conflitto provocato dall’invasione russa dell’Ucraina ha lasciato segni profondi nei principali gruppi europei, accentuandone le debolezze strategiche e rendendo necessarie misure drastiche e statalizzazioni forzate. In Italia questo non è accaduto, l’Enel ha tenuto botta. Ma che succede adesso alla più grande utility del continente?
È davvero una “società da salvare” come filtra da alcuni ambienti di governo, e si sta incrinando la fiducia che l’ha accompagnata in questi anni? I mercati sono perplessi per una dicotomia tra la realtà di conti e prospettive da un lato e i segnali esogeni che arrivano su altri fronti. C’è qualcosa che non torna. Perché le stime degli analisti segnalano bel tempo nella metereologia finanziaria della società. Equita ha recentemente confermato la view positiva sul titolo e ha apprezzato il piano di cessioni deciso alla fine dello scorso anno. Nel campo internazionale, gli analisti di Barclays, Goldman Sachs, Ubs, JpMorgan, Deutsche Bank e Jeffries consigliano di comprare, e lo stessa fa Mediobanca che considera il titolo più promettente della media del mercato. Più prudente è Morgan Stanley.
L’attenzione di molti si concentra sul debito della società, in un range tra 52 e 58 miliardi secondo le stime 2022, che sembra essere la preoccupazione prevalente della politica. Preoccupazione non condivisa dagli analisti che spiegano come gran parte del debito sia stato contratto al tempo dell’acquisizione di Endesa nel 2009 e sia stato gestito gestito con equilibrio: “La società si è trovata a gestire un indebitamento che dava un pay out del 40 per cento e che investiva 4 miliardi l’anno. Riducendo la quota in Endesa e iniziando la ristrutturazione delle partecipazioni in America Latina, in meno di un decennio si è stabilizzato il peso e si è passati ad investire 12 miliardi l’anno con picchi di 15 miliardi”.
Il nuovo piano triennale presentato a novembre scorso ha poi deciso di alleggerire alcune partecipazioni estere, abbandonando mercati non più redditizi e strategici. Le dismissioni in base alle previsioni presentate dalla società agli analisti porteranno incassi per 21 miliardi. Una decisione giudicata tempestiva e che anzi anticipa gli effetti negativi legati all’aumento dei tassi di interesse legati alle manovre restrittive di Fed e Bce. Le dismissioni serviranno anche a compensare gli interventi operati per il calmierare gli aumenti delle bollette delle famiglie: “Non si tratta di poca cosa, l’Enel nel 2022 ha fatto la sua parte. Uno dei motivi che ha fatto salire il debito sono i quasi 9 miliardi di working capital negativo, di cui una grossa fetta è legata ai 3,5 miliardi che in pratica la società ha anticipato per ammorbidire l’effetto dei rincari in bolletta”, commentano a Piazza Affari.
Il piano permetterà poi di liberare risorse per nuovi investimenti, soprattutto sulle energie rinnovabili dove si apprezza che Enel prosegua nella sua spinta su una transizione green legata soprattutto al fotovoltaico, e sia quindi al riparo dalle polemiche che stanno rallentando invece la realizzazione dei parchi eolici in terra ed in mare. Qualcosa non torna rispetto agli allarmi anche nel campo degli investitori. “La politica dei dividendi negli anni è stata molto solida e molto chiara, aver stabilito dei pay out ratios predeterminati ha dato certezza al mercato. Ma soprattutto è piaciuto il piano triennale”.
Il titolo, che aveva toccato un minimo di 4 euro lo scorso ottobre, ha infatti ripreso la sua corsa e dopo lo stacco della cedola oscilla attorno ai 5,40 euro, con un incremento del 40 per cento. La maggior parte delle banche d’investimento internazionali stimano un target price al livello di 7 euro per azione, e vedono Enel meglio posizionata dei concorrenti europei, soprattutto sul fronte delle energie rinnovabili, dove la supply chain non ha sofferto interruzioni significative. Molte luci nei giudizi quindi. E allora cosa non torna? Forse la semplificazione del gruppo e le dismissioni potevano essere fatte prima, ma alla fine sono arrivate in tempo utile.
Il sacrificio chiesto per calmierare le bollette ha impattato sul debito e non ci sono tempi certi per il ristoro degli oneri di sistema cancellati. E certamente va considerato che la spinta sulle fonti rinnovabili di energia deve fare i conti con una contingenza che impone di tamponare subito la riduzione delle forniture di gas russo e di cercare nuovi partner. Poi le prospettive di fare dell’Italia un hub del gas richiede impegno e soprattutto fondi per le infrastrutture da realizzare. Sono elementi che possono cambiare lo scenario?. In ballo, va ricordato, ci sono 3,5 miliardi di appalti che Enel si è aggiudicato nell’ambito del Pnrr; un piatto che in futuro può crescere con la decisione della Ue di implementare il Green Deal europeo in risposta alle nuove politiche protezioniste degli Stati Uniti. O che può al contrario finire su un binario morto a causa dei ritardi mal tollerati da Bruxelles, facendo perdere enormi opportunità. I mercati aspettano risposte.