l'analisi

In Russia diminuiscono i poveri, mentre sparisce la classe media

Luciano Capone

I russi sono sempre più poveri, ma i poveri sono sempre di meno. Putin ha aumentato i trasferimenti alle fasce deboli, a scapito del ceto medio che si sta assottigliando sempre di più: un trend preesistente accelarato dalla guerra

Oltre alle previsioni del Fmi che stimano un ritorno alla crescita in Russia nel 2023 (+0,3 per cento), dopo la contrazione del 2022 (-2,2 per cento), c’è un altro dato sorprendente per l’economia russa. Nel terzo trimestre 2022 circa 700 mila russi hanno lasciato la povertà assoluta (al di sotto della soglia di 180 euro al mese) rispetto all’anno precedente, passando da 16 milioni a 15,3 milioni di persone. Ma come è possibile che in Russia, durante una recessione, diminuisca la povertà? Come il pil, che torna a crescere sorretto dall’industria miliare e dalla spesa pubblica ma con seri problemi in tutti gli altri settori colpiti dalle sanzioni, così anche il dato della povertà nasconde una situazione critica. La soluzione del mistero sta nel fatto che i poveri diminuiscono di numero, ma i russi sono più poveri complessivamente. In pratica sta pagando la classe media russa, che è sempre più piccola. 

 

Il regime di Vladimir Putin ha deciso, insieme all’espansione del budget militare per sostenere la guerra, di aumentare gli aiuti a favore delle fasce più bisognose. Ad esempio aumentando le prestazioni sociali del decile più povero della popolazione oltre il doppio del tasso d’inflazione. È il fronte interno per mantenere elevato il consenso politico. Il governo ha concentrato lo sforzo fiscale, anche grazie alle entrate all’export di gas e petrolio gonfiate dall’aumento dei prezzi, sulle famiglie con figli, sulle famiglie povere e sui pensionati. Anche a scapito degli investimenti.

 

Nella seconda metà del 2022, la Russia ha speso poco più di 1 trilione di rubli (15 miliardi di dollari) a favore delle le famiglie con bambini e circa 400 miliardi di rubli in più per le pensioni. Un altro canale di riduzione della povertà è stata anche la guerra, nel senso che per gran parte degli arruolati la “missione speciale” è proprio una fuga dalla miseria: gli stipendi per i soldati, così come gli indennizzi per morti e feriti, insieme ai trasferimenti, hanno dato un contributo alla riduzione della povertà. Bisognerà vedere se il governo riuscirà a sostenere questo livello di spesa.

 

L’altra faccia della medaglia, però, è un progressivo svuotamento della classe media. Includendo nel ceto medio le famiglie con redditi da lavoro che consentono l’acquisto di una casa, un’automobile e avere un livello decente di consumi correnti, la classe media russa è ormai pari a circa il 10 per cento della popolazione. La classe media si è assottigliata perché si è impoverita o perché è emigrata, com’è accaduto a centinaia di migliaia di russi in varie ondate dopo l’invasione dell’Ucraina.

 

Si tratta di un fenomeno che la guerra ha amplificato, ma che già esisteva nell’economia russa. Uno studio pubblicato lo scorso agosto sul portale di approfondimento economico della Banca centrale russa analizzava il fenomeno dei “professionisti poveri”, ovvero persone con un titolo di istruzione superiore che lavorano ma sono in povertà. Già prima della pandemia, nel 2019, in Russia più di un professionista su cinque era povero o a basso reddito, cioè aveva un reddito inferiore alla soglia di sussistenza o non superiore di 1,5 volte il minimo di sussistenza. Il dato aumenta se si hanno dei figli: il 45 per cento dei professionisti con due figli è classificato come povero o a basso reddito.

 

È da lungo tempo, scrivono gli economisti russi, che il rendimento dell’istruzione superiore è in calo costante, con un ritorno pari al 5,4 per cento che è circa la metà della media mondiale (9 per cento). In pratica, in Russia il capitale umano – fattore fondamentale di crescita nelle economie sviluppate – vale sempre meno e i guadagni dei professionisti si stanno avvicinando a quelli dei lavoratori meno istruiti e non qualificati. Ciò vuol dire che per i russi, che generalmente hanno un’ottima istruzione, diventa sempre più conveniente lavorare all’estero.

 

Questa tendenza strutturale viene accelerata dalle sanzioni, che colpiscono i settori più avanzati. Il processo di ristrutturazione costringe le imprese russe a sostituire le importazioni occidentali con tecnologia più scadente, la produttività si riduce e i lavoratori trovano occupazioni con salari più bassi e che non corrispondono al proprio livello di istruzione. Così la classe media russa è una delle vittime collaterali della guerra di Putin.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali