Un modello in crisi?
I Rothschild lasciano la Borsa dopo due secoli. Ma non sono i soli
La più famosa delle dinastie bancarie europee, che ha esercitato una grande influenza sulla storia economica e politica dell’Europa, dice addio alla Borsa di Parigi dopo 185 anni. "C'è un gioco malevolo che impedisce di investire nella crescita" ci dice Dallocchio
La famiglia Rothschild, la più famosa delle dinastie bancarie europee, che per oltre due secoli ha esercitato una grande influenza sulla storia economica e, indirettamente, politica dell’Europa dice addio alla Borsa di Parigi dopo 185 anni. “Nessuna delle attività del gruppo – recita la nota che ieri ha dato l’annuncio – ha bisogno di accedere a capitali dai mercati azionari pubblici”. E ancora: “Ciascuna delle attività viene valutata meglio sulla base della loro performance a lungo termine piuttosto che guadagni a breve termine. Ciò rende la proprietà privata del gruppo più appropriata di una quotazione pubblica”. In parole povere, i Rothschild non hanno più bisogno della Borsa per drenare la liquidità necessaria alla loro storica banca, la Rotschild&Co, in cui ha lavorato anche Emmanuel Macron prima di diventare presidente della repubblica francese.
Al di là dello stupore che può destare la notizia visto che da sempre il mercato azionario è considerato l’habitat naturale per una banca d’affari (è un po’ come se l’americana Goldman Sachs si cancellasse da Wall Street), c’è da domandarsi davvero che cosa stia succedendo al capitalismo familiare, perché diventano sempre più numerose le dinastie che scappano dalla Borsa. Fenomeno che anche a Piazza Affari, dopo 22 delisting e una perdita di capitalizzazione di 43 miliardi di euro nel 2022, non conosce sosta: nei giorni scorsi un’altra società della famiglia Agnelli-Elkann, la Cnh Industrial, ha annunciato che taglierà i ponti come già ha fatto la controllante Exor. È la crisi di un modello?
“Direi che è una crisi congiunturale e non strutturale, che ha diverse ragioni di cui la principale è l’abbondante liquidità in circolazione nel sistema finanziario dopo gli anni pandemici”, spiega al Foglio Maurizio Dallocchio, professore di Finanza aziendale alla Bocconi nonché membro di diversi consigli di amministrazione di società quotate. “Tanta liquidità passa attraverso canali alternativi alla Borsa come i fondi di private equity che si muovono in maniera agile e veloce – prosegue – ma sarebbe sbagliato pensare che il fenomeno riguarda solo l’Italia o solo l’Europa. Per esempio, le società quotate sul Nyse sono oggi la metà di quante erano nel 2000. Non vedo un cambiamento radicale del sistema e penso che a fronte di tante società di grandi famiglie che hanno detto addio Piazza Affari ne vedremo presto arrivare delle nuove, anche nomi importanti, come dimostra la vitalità del programma Elite. Detto questo, non si può negare che ci siano diverse ragioni che scoraggiano gli imprenditori, come la crescita a dismisura degli adempimenti che distraggono dal business”.
Ma c’è un punto, ricorda Dallocchio, che viene sottolineato nella nota di Rotschild quando dice che le attività della banca vengono valutate meglio nel lungo termine che nel breve. “Purtroppo le società quotate sono soggette a un gioco malevolo che le spinge a rincorrere la redditività nel trimestre invece che su un orizzonte più lungo attraverso gli investimenti per la crescita. È innegabile, inoltre, che si sia diffusa una certa stanchezza per il perdurare della volatilità sui mercati dove sempre più imprenditori vedono penalizzato il valore dell’azienda per fattori esterni. Nei momenti d’incertezza, capita che la Borsa non premi il cavallo di razza ma faccia di tutta l’erba un solo fascio”. Euronext, che controlla le borse di Milano e Parigi, ha cercato di alleggerire il peso della burocrazia, ma questo non ha impedito alla famiglia Rotschild di dire addio al Cac 40 e agli Agnelli-Elkann di cancellare Cnh dal Ftse Mib. “Penso che in futuro ci saranno ulteriori interventi per rendere più agevole e attraente il ricorso alla Borsa”, conclude Dallocchio.