Ursula von der Leyen (Lapresse)

Europa first un tubo

Perché la risposta protezionista dell'Ue al protezionismo americano è pericolosa

Stefano Cingolani

Giovedì e venerdì il Consiglio straordinario europeo dovrà discutere su come rispondere al programma di Biden: mettere in campo un piano parallelo ed equivalente oppure liberi tutti? Uno studio del francese Patrick Artus

Xi Jinping manda palloni aerostatici per spiare cosa sta accadendo in America. Il Financial Times s’interroga su quella “enigmatica economia” che il mese scorso ha creato un altro mezzo milione di posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione è ormai al punto più basso da 53 anni. Per l’Economist il piano Biden è “ambizioso, confuso ed egoistico”, eppure può salvare il pianeta. L’Ue si lamenta e s’arrabatta: bloccare la locomotiva a stelle e strisce o balzarci sopra? Tedeschi e francesi intendono salirci da soli spuntando le stesse condizioni di canadesi e messicani. Gli italiani si tormentano con il vorrei, ma non posso. Giovedì e venerdì il Consiglio straordinario della Ue dovrà discutere su come rispondere: mettere in campo un piano parallelo ed equivalente oppure liberi tutti?

 

Gli europei pensano a difendersi, si nascondono dietro un sovranismo d’antan (non importa se continentale anziché nazionale), invece di interrogarsi sul perché sono rimasti così indietro. Le ragioni di fondo non hanno a che fare soltanto con la politica, con gli aiuti di stato, con le protezioni. E se il trumpiano America First è un errore, lo Europe First è solo una illusione. Lo spiega con logica cartesiana uno studioso francese (sì, proprio francese) stimato per i suoi lavori su crescita e ciclo economico: Patrick Artus, capo economista alla banca d’affari Natixis, già membro del consiglio di amministrazione della Total, professore al Politecnico e docente alla Sorbona. Una ricerca condotta sugli ultimi 24 anni mostra che, a poco a poco, gli Usa hanno surclassato la Ue e ormai il fossato è incolmabile, anzi è destinato ad allargarsi. Il pil americano dal 1998 al terzo trimestre del 2022 è cresciuto del 61 per cento, quello europeo del 36. Continuando così alla fine del secolo sarà il doppio di quello dell’Eurolandia. Come spiegare un tale scarto? Con la potenza atomica, con gli aiuti del Pentagono, con dazi, tariffe e via via aiutando e proteggendo?

 

No, con fattori strutturali, di lungo periodo. Il primo è la demografia. L’aumento dei pensionati rispetto alla popolazione attiva provoca da solo uno scarto di 0,7 punti di pil l’anno. In più occorre aggiungere che l’invecchiamento riduce la produttività del lavoro, altra componente decisiva. La produttività europea nel periodo analizzato è cresciuta del 14 per cento, quella statunitense del 62. Se prendiamo poi il dato pro capite troviamo che in Europa ristagna, in America sale in media del 4 per cento. Con la produttività s’impinguano pure le buste paga. Una delle cause dell’inflazione post pandemia negli Usa è il rialzo dei salari, cosa che nella Ue non è avvenuta allo stesso ritmo. Cosa ha provocato questa forbice? Il capitale investito. Attenzione, il tasso d’investimento netto delle imprese s’è ridotto anche negli Stati Uniti, passando dal 6 al 4 per cento del pil, ma l’Europa ha fatto peggio (dal 4 al 2 per cento), creando un crescente deficit d’innovazione. La spesa per ricerca e sviluppo pesa solo per il 2,4 per cento nell’Eurolandia, rispetto al 3,5, e anche gli occupati nelle aziende high tech sono meno: 3,1 contro il 4,2 per cento del totale. Riassumendo, sottolinea Artus, “questo scarto nella crescita ha tre ragioni: demografia, accumulazione di capitale e progresso tecnico. Se questa situazione non cambia, la zona euro diventerà una potenza economica trascurabile”. La stessa Cina nel lungo termine rimarrà indietro secondo Artus per colpa di almeno due fattori (demografia e produttività).

 

Le nuove vesti che sta assumendo la globalizzazione favoriscono gli Stati Uniti, già oggi si può vedere come l’aumento dell’occupazione è in parte frutto del ritorno in patria di attività economiche delocalizzate, ciò vale sia nella manifattura sia nei servizi. A tutto questo s’aggiunge che gli Usa sono diventati autosufficienti in campo energetico, mentre l’Europa resterà estremamente dipendente, meno dalla Russia più da altre aree geo-economiche. E Biden? Il suo triplice piano –  Infrastructure act (1.200 miliardi di dollari in dieci anni), Chips act (280 miliardi per i semiconduttori made in Usa), Inflation reduction act (400 miliardi per la transizione verde) – è un potente acceleratore, sia chiaro, Artus non lo nega. Ma anche se la Ue fosse in grado di mobilitare altrettante risorse, il risultato non sarebbe lo stesso. Nessuna politica industriale può chiudere il divario se non aumentano gli investimenti privati, la produttività e la popolazione non solo facendo più figli, ma accogliendo gli immigrati, diventando un melting pot. Altro che la “sostituzione etnica” dei sovranisti, è il modo per non essere travolti dalla storia.

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