Perché per l'economia russa il 2023 potrebbe essere più rischioso del 2022
Se l'anno scorso è stato caratterizzato da surplus commerciale e di bilancio, quest'anno Mosca affronterà calo dell'export e deficit fiscale: la situazione ideale per una crisi. L'analisi dell'economista russo Oleg Itskhoki
E se la vera crisi economica per la Russia arrivasse quest’anno? È vero che il Fmi prevede addirittura una leggera ripresa (+0,3%) del pil dopo la recessione del 2022 (-2,2%). Ma è in corso un cambiamento dei fondamentali economici che potrebbe ribaltare le prospettive. Se nel 2022 l’economia russa ha retto molto meglio del previsto alle sanzioni evitando un collasso, nel 2023 il quadro macroeconomico potrebbe evolvere verso una situazione di crisi ben diversa dalle previsioni ottimistiche del Fmi. Almeno questo è ciò che pensa Oleg Itskhoki, uno degli economisti russi più stimati al mondo, professore alla University of California di Los Angeles, analizzando in retrospettiva e in prospettiva l’impatto delle sanzioni.
Itskhoki, che lo scorso anno ha vinto la John Bates Clark Medal, una specie di premio Nobel per gli economisti under 40 assegnato dalla American Economic Association (Aea), ha descritto la reazione e l’evoluzione dell’economia russa rispetto alle sanzioni occidentali prima in un convegno dell’Aea sulle implicazioni economiche della guerra russa in Ucraina e successivamente in un lungo articolo per il sito di approfondimento “Re:Russia”. La domanda di partenza di Itskhoki è perché, di fronte alle sanzioni senza precedenti dell’Occidente, l’economia russa non è collassata ma solo declinata. E la risposta è che, in un certo senso, la Russia ha subìto molti choc che si sono in parte compensati e le stesse sanzioni si sono paradossalmente autoannullate. Il fatto è, sostiene l’economista, che è molto difficile che si sviluppi una crisi finanziaria in un’economia, come quella russa, che ha un surplus commerciale, un surplus di bilancio e che non è dollarizzata.
Dopo le prime settimane di choc valutario a marzo 2022, dovuto alle sanzioni sugli asset della Banca centrale russa e alla sua operatività, superate dalla decisa reazione della Banca centrale, questi tre fattori hanno stabilizzato l’economia trasformando una crisi profonda in una graduale contrazione del pil. La Russia si è trovata in primavera con un crescente avanzo commerciale, dovuto all’impennata dei prezzi energetici ma anche alle sanzioni sulle importazioni, che hanno dimezzato l’import russo. Così il surplus commerciale nel 2022 ha raggiunto il 10% del pil, un livello record.
Questo non vuol dire che le sanzioni sulle importazioni non siano state efficaci, perché hanno ridotto la possibilità per la Russia di approvvigionarsi di tecnologie importanti anche per l’industria militare, ma che non sono servite a causare una crisi finanziaria. “La combinazione di sanzioni finanziarie e sulle importazioni, in assenza di sanzioni sulle esportazioni, ha fallito nel provocare una crisi finanziaria – scrive Itskhoki –. Al contrario, l’ha evitata: le esportazioni hanno generato un afflusso di denaro, ma non c’era nessun modo per spenderlo e, di conseguenza, non si è verificato un deficit di finanziamento”. Ciò significa che Vladimir Putin non è stato costretto a introdurre misure di austerità, ma anzi ha avuto un enorme flusso finanziario derivante dalla vendita di petrolio e gas con cui ha potuto sostenere la domanda e sussidiare le imprese.
Il problema, insomma, è che l’Occidente – ma soprattutto l’Europa – ha scelto in una prima fase, a causa dell’eccessiva dipendenza energetica da Mosca, di non sanzionare le esportazioni. Il flusso di gas è stato tagliato autonomamente da Putin e le prime sanzioni europee sull’energia sono scattate a solo dicembre, con l’embargo e il price cap sul petrolio, quasi 10 mesi dopo l’invasione. A cui si sono appena aggiunte, da febbraio, identiche misure sui prodotti petroliferi. Ma questo vuol dire, evidenzia Itskhoki, che nel 2023 il quadro macroeconomico sarà profondamente diverso rispetto al 2022: sarà un anno di declino dell’export e aumento dell’import che indebolirà il rublo; inoltre la riduzione del flusso di entrate da petrolio e gas creerà un deficit di bilancio che a sua volta avrà bisogno di misure di austerità o di finanziamento monetario da parte della Banca centrale, mettendo ulteriore pressione al ribasso sul rublo. “In questo senso, il 2023 assomiglierà di più a una tipica crisi, con un calo degli afflussi di capitale, pressioni di svalutazione e crescenti problemi con il finanziamento dell’intera economia”, conclude l’economista.
I primi dati del 2023 sembrano confermare la sua previsione: a gennaio, secondo il ministero delle Finanze russo, rispetto al 2022 le entrate dall’export di petrolio e gas sono crollate del 46%, le spese sono aumentate del 59% e il deficit di bilancio ha toccato il record di 1,76 trilioni di rubli (25 miliardi di dollari). Bisognerà vedere se il trend proseguirà nel resto dell’anno e se l’Occidente sarà in grado di colpire più incisivamente l’export russo di oil & gas.
tra debito e crescita