(foto Ansa)

Riformismo dimezzato

Idee contro il rifiuto a priori delle differenziazioni territoriali nell'insegnamento

Marco Leonardi

Se si nega il problema del differente potere d’acquisto si perde anche la battaglia politica. Ecco perché raddoppiare gli stipendi in maniera indiscriminata non risolve la questione. Bisogna lavorare sui rimborsi e sugli incentivi

Nello scorso mese di novembre, a governo appena insediato, il ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli, ha presentato alle regioni la bozza di disegno di legge “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116 della Costituzione”, un provvedimento poi approvato in fretta e furia dal Consiglio dei ministri il 2 febbraio. Una data scelta, non a caso, a ridosso delle elezioni regionali del 12 e 13 febbraio. Non a caso perché il tema dell’autonomia serve più per la propaganda politica che per il merito delle questioni. Nel merito delle competenze di stato e regioni è difficile pensare che il governo possa davvero impegnarsi contemporaneamente nel Pnrr e nell’autonomia differenziata. Praticamente tutto il Pnrr necessita di un coordinamento centrale. In materie come l’energia, i trasporti, le politiche industriali il tema è semmai se il coordinamento debba essere europeo.  

 

Le riforme dei servizi pubblici locali o delle concessioni balneari già molto difficili così sarebbero impossibili se le competenze fossero devolute a livello regionale. Al massimo si potranno individuare alcune funzioni specifiche dove stabilire i livelli essenziali delle prestazioni (cosa di per sé complicata). Il tema dell’autonomia ha avuto molto risalto pubblico per la proposta del ministro Valditara di pagare in maniera differenziata gli insegnanti attraverso la contrattazione regionale. Poco importa che questo abbia poco a che fare con il tema dell’autonomia, che solo se intesa in maniera larghissima potrebbe arrivare addirittura agli stipendi del pubblico impiego. Ma appunto non si tratta di merito ma di propaganda politica. Se è difficile pensare a insegnanti pagati diversamente a seconda della regione di appartenenza – cosa che non succede neanche in altri paesi – d’altra parte il problema del differente potere d’acquisto dei salari esiste eccome. Se si nega il problema del differente potere d’acquisto si perde anche la battaglia politica. E’ credibile rispondere che allora raddoppiamo gli stipendi degli insegnanti e si risolve il problema? A parte che non è pensabile raddoppiare solo lo stipendio degli insegnanti senza raddoppiare quello degli altri dipendenti nel pubblico impiego e portarli ai livelli europeo, quando i salari italiani nel settore privato sono il 30 per cento inferiori a quelli tedeschi e il 15 per cento a quelli francesi. Ma soprattutto non si può negare il problema arrivando a paradossi come quello del Reddito di cittadinanza: esistono 5 milioni di poveri assoluti in Italia e la soglia di povertà è diversa a sud e nord, tuttavia per un tabù assoluto di fare differenze regionali la soglia che dà diritto al Reddito di cittadinanza è una sola e di conseguenza si lascia fuori i poveri del nord. Il punto è che, a partire dal “concorsone” di Berlinguer si è sempre rifiutata ogni differenziazione nella scuola sulla base della qualità dell’insegnamento e in generale del lavoro svolto dal singolo docente o sulla base delle competenze certificate. Va bene, pace, forse effettivamente è troppo difficile nel pubblico impiego stabilire i criteri di merito e il gioco non vale la candela. Ma si rifiuta anche una differenziazione per materia insegnata: oggi è difficile trovare insegnanti nelle materie scientifiche, sono rari i laureati nelle materie tecniche. Come faremo a coprire le sempre maggiori esigenze di insegnamento in questi settori se non prevediamo dei premi monetari non lo so, ma il contratto nazionale non prevede nessuna differenza tra le classi di concorso. E non prevede neanche nessun premio per chi si sposta per insegnare nelle città più care.

 

Si potrebbe iniziare con il rimborsare agli insegnanti parte delle spese di affitto a equo canone parametrate sul valore dell’equo canone della zona, così come si è pensato di fare per la parte di Reddito di cittadinanza che copre le spese di affitto, ma non si è mai fatto. Per il Reddito di cittadinanza la cifra che rimborsa l’affitto è unica e copre una quota più o meno ampia di affitti differenti tra città e città. E’ già qualcosa ma non abbastanza. A tal punto è arrivato il rifiuto della differenziazione nella scuola che non è neanche passata la proposta di fare come in Francia che chi insegna per 5 anni nelle scuole difficili (ad alto tasso di abbandono o con bassi valori dei test invalsi) o nelle scuole delle aree remote ha un premio di 5 mila euro.  

Con buona pace della ormai sterminata letteratura nazionale e internazionale delle aree interne che rimangono prive di servizi pubblici e poi votano per i partiti populisti. Così adesso è molto facile fare con successo le campagne elettorali promettendo che si pagheranno gli insegnanti nelle aree interne con i soldi regionali. Propaganda politica e non questione di merito, appunto. 

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