Perché a Meloni spetta una decisione difficile sulle banche e la politica delle “fee”
La commissaria ai servizi finanziari Ue Mairead McGuinness vorrebbe far passare l’intera industria Ue del risparmio al modello già praticato nel Regno Unito, Olanda e altri paesi anglosassoni. Ciò sgraverebbe di gravi costi impropri i contribuenti, ma ridurrebbe gli utili degli istituti bancari. Che farà il governo?
Domanda secca al governo italiano, innanzitutto al premier Meloni e al ministro dell’Economia Giorgetti. E’ possibile sapere coma la pensano sulla proposta legislativa che nasce su impulso della Commissione Europea, e che da inizio ad aprile entra nel vivo dopo quasi 2 anni? La proposta nasce dalla forte convinzione della commissaria ai servizi finanziari Ue Mairead McGuinness. La Commissione Economia del Parlamento Europeo aveva provato ad anticiparne le linee, ma è stata bloccata dalla pressione dei grandi governi Ue, della Federazione Bancaria Europea e da Insurance Europe, l’analoga associazione delle imprese assicurative. Una simile opposizione fa capire al volo che la proposta cardine, per garantire ai risparmiatori retail condizioni più trasparenti e meno onerose per il loro risparmio gestito dagli intermediari (stiamo parlando di un valore in UE superiore ai 18 trilioni di euro), è coraggiosa. Di che si tratta? Di far passare l’intera industria Ue del risparmio al modello già praticato nel Regno Unito, Olanda e altri paesi anglosassoni. Cioè adottando il modello di consulenza finanziaria indipendente basata sul concetto fees only cioè su prezzi per il risparmiatore basati su parcella, e non più sul modello commission only che è invalso da decenni.
Possono sembrare questioni di tecnica finanziaria, non lo sono. Tanto meno in un paese come il nostro, di cui si vanta giustamente l’elevato stock di risparmio degli italiani, che il governo attuale vuole volgere a maggior sottoscrizione di titoli pubblici per soli residenti in modo da dipendere meno dallo spread. Il sistema italiano e continentale attuale fa gravare una mole eccessiva di costi sul risparmiatore, tra commissioni di gestione, di performance e soprattutto grazie alle commissioni d di retrocessione, con cui le reti che piazzano prodotti di investimento di altre fabbriche-prodotto retrocedono appunto loro una parte delle commissioni incassate dal risparmiatore, commissioni che ritornano per un’altra parte alla propria rete di collocatori. E’ un meccanismo che trasferisce percentuali elevate del risparmio investito alle reti e alle fabbriche-prodotto, e che cela evidenti conflitti di interesse sui prodotti finanziari da far sottoscrivere. Nell’ottobre 2021 Mediobanca Securities svolse un’indagine sui costi praticati nel 2020 dalle 5 reti maggiori di risparmio gestito quotate. Il risultato fu tale che i grandi giornali preferirono non darne troppa evidenza. Tra chi ancora calcolava il costo di performance sui dati mensili invece che annuali e chi proponeva fondi flessibili che in realtà avrebbero dovuto essere azionari con performance su Euribor che era facilissimo battere e che arrivavano a mangiarsi in costi riconosciuti alla rete oltre il 50 per cento della performance che avrebbe dovuto incassare il sottoscrittore, tra chi infine praticava applicava commissioni di performance anche a prodotti in perdita, il quadro complessivo era sconfortante. Non a caso qualche anno fa Raffaele Zenti, che insegna Quantitative Portfolio Management al Master in Finance dell'Università di Torino, ha stimato a seconda dell’andamento dei mercati fino a 24 miliardi di euro l’anno che col meccanismo attuale passavano silenziosamente dal portafoglio dei risparmiatori a quello degli investitori, più di un punto dell’attuale pil l’anno. Un nuovo report di Mediobanca fresco fresco ha stimato l’effetto della dottrina-McGuinness per le banche e le reti italiane. Risultato eclatante. Sia pur con differente impatto tra le diverse reti, a seconda di come abbiano cercato di adeguarsi davvero alla Mifid2 che le obbligava in teoria alla piena trasparenza, l’effetto per alcune di loro dei minor ricavi da commissione potrebbe tradursi in minori utili anche del 30 per cento. Se un 30 per cento dei clienti attuali migrasse verso consulenza finanziaria davvero indipendente pagata a parcella, le commissioni di gestione complessive potrebbero calare fino al 50 per cento. Con una riduzione del compenso diretto ai consulenti bancari anche del 25 per cento. Sono cifre che danno la misura di quanto gravi sulle spalle del risparmiatore italiano una montagna di costi spropositata. Non a caso il rapporto annuale Esma evidenzia che le commissioni sui prodotti del risparmio gestito sono tra le più elevate in Europa.
E rieccoci dunque alla domanda: milioni di famiglie italiane possono aspettarsi dal governo attuale una posizione finalmente aperta a sgravarli di gravi costi impropri, oppure Meloni e Giorgetti continueranno a considerare prioritario assicurare margini impropri a banche e reti?