Mondi paralleli
Perché non dobbiamo vergognarci del Superbonus
Tutti sotto processo per aver fatto per una volta una cosa buona. Serve pudore per trattarlo, questo figlio di un pensiero d’emergenza e di una giusta azione: i veri truffatori sono quelli che rinnegano il passato
C’è gente che vive in un mondo parallelo. Siccome Conte no le gusta il Superbonus e varianti è carta da debito improvvisata dal grillo-demente. Siccome Draghi le gusta mucho è il grande nemico del Superbonus, oggi vendicato dallo splendido Giorgetti che fa ciò che Egli non potette fare, ahinoi. Siccome con il Superbonus, anche con Lui, questo Batman dell’economia reale, abbiamo evitato la recessione alla ’29 dopo la pandemia, anzi ci siamo ringalluzziti di pil meglio degli altri competitori, e l’occupazione non conosce sfracelli al seguito del bâtiment, quand le bâtiment va tout va, ecco che la contabilità Eurostat ci designa, noi e le generazioni apocalittiche a venire, lardellati di un debito di duemila euro a testa, neonati compresi (e “i medici di famiglia non servono più”, ipse Giorgetti dixit alla vigilia del disastro sanitario ospedaliero). Ora è evidente che Draghi nel discorso sulla fiducia al Senato, ormai in uscita in polemica con i contiani alla ricerca di salvezza elettorale, aveva aggiustato il tiro, ingravescente inflatio e tassi in risalita, ma il padre dell’intervenzionismo stato-banche è meritoriamente Lui, Supermario Superbonus et Magister.
Il discorso a scongiurare le conseguenze a debito del bonus è del luglio del 2022. Il Superbonus originario del Bisconte è del maggio 2021, e via alla crescita post paralisi pandemica. E l’articolo di Draghi, manifesto di idee giuste e sacrosante contro l’apocalisse potenziale pandemica, è del marzo 2020, nel pieno della paralisi. Abbiamo qui ripubblicato di recente il saggio-manifesto di Draghi sulla necessità di una immediata conversione economico finanziaria a pratiche di debito pubblico attraverso le banche per salvare posti di lavoro e evitare il ’29 europeo. La gente che vive nel mondo parallelo però si ostina a non leggerlo, preferisce bassa propaganda politica, anche per buone ragioni antigrilline, contro la demagogia del “gratuitamente”, o dogmatismi libbberali e di mercato, indici di mentalità ristretta, incurante dell’adagio di Keynes-Draghi (cambiano i fatti, cambio opinione, e lei?). Quando in lockdown si cominciò a parlare di ristori, pietanza succulenta per un paese ristorante come il nostro, la loro estensione fece pensare a molti di noi che il rischio di un assalto alla diligenza era alto. Però Draghi spiegava al tempo come stavano le cose, dall’alto della cattedra mercatista e antimercatista del whatever it takes, con l’autorità di un ex banchiere centrale che parlava poco e solo quando doveva dire qualcosa. Rileggere, prego.
Supermario non scriveva genericamente che bisognava spendere denaro pubblico e indebitarsi e cancellare i debiti privati per evitare il collasso di occupazione e reddito di famiglia e d’impresa. No, specificava che bisognava agire attraverso il granulare sistema a rete delle banche europee, che la speditezza contro remore burocratiche era decisiva per l’efficacia, che era il momento del famoso cambio di paradigma, la salvezza dei posti di lavoro era legata al credito bancario garantito dagli stati, e aggiungeva “senza collaterali e remore leguleie varie”. Ecco il ritratto di quello che sarà il Superbonus. L’incremento di debito si riassorbirà e comunque deve essere significativo, specificava Draghi, e lo stato è il protagonista, attraverso le banche, di questa “permanent feature of our economies”. Aggiungiamo che la storia dell’un per cento degli stabili risanati in transizione energetica, inteso come lo spettro di azione ristretto del decreto Conte, è un’altra variante della statistica del pollo, una corbelleria o una corbelluria. Ci volevano più soldi, molti di più, più debito pubblico ancora, più imprese, più materiali a minor costo, e ancora maggiori facilitazioni a parte quella geniale per gli italiani dell’eccitante 110 per cento, il gratuitamente, per arrivare al dieci o venti per cento di risanamenti a traino dell’intera crescita economica. Ci voleva che non scoppiasse la guerra in Europa, che non ci fosse la crisi energetica, l’inflazione spesso a due cifre, la corsa al rialzo dei tassi. Ma che volete, non tutto si può fare, e meglio meno ma meglio. Forti nelle inaugurazioni e poveri nella manutenzione (il celebre aforisma di Longanesi), per una volta abbiamo scelto all’un per cento la seconda alla prima. E ce ne lamentiamo.
Fingiamo per spocchia o per dolo di non aver percepito il beneficio di un decreto giusto e sacrosanto, fatto sulla scia di una filosofia del debito d’emergenza che proprio Master Draghi, Lord protettore del Sigillo dei conti pubblici, da Carli a oggi, ci aveva illustrato e spronato a abbracciare. Imbastiamo un ridicolo processo al passato, mentre si deve solo aggiustare il tiro, e lo si fa, più o meno come voleva l’agenda Draghi di cui Giorgetti e Meloni sono i legittimi eredi, e solo perché sono cambiati i criteri contabili che non consentono più di spalmare su anni il cambio di paradigma ovvero debito debito debito. Tutti sotto processo per aver fatto per una volta una cosa buona. Nessuno che rivendichi di aver partecipato, e hanno partecipato tutti, compresi i governanti che ora aggiustano il tiro con rischi notevoli ma inevitabilmente, alla festa dell’edilizia che rinasce e che traina occupazione e reddito (e qualche colossale truffa tipica dei fenomeni di crescita e circolazione dei capitali). Non dobbiamo vergognarci del Superbonus, dobbiamo avere pudore a trattarlo, questo figlio di un pensiero d’emergenza e di una giusta azione, come lo trattiamo ora. I veri truffatori sono i rinnegati del Superbonus.