I governi passano, le grane restano
Perché la Rete unica non è necessaria e neppure auspicabile
Sembra esserci un generale pregiudizio secondo cui il mercato infrastrutturale non possa essere, nel settore delle telecomunicazioni, pienamente concorrenziale. Da qui nasce l'errore di voler nazionalizzare la Tim
I governi passano, ma le grane restano. Soprattutto quando ci si mette di mezzo la politica. Che l’affaire Tim abbia origini precedenti a questo governo è cosa nota. La concorrenza nel mercato delle infrastrutture non è un tabù dovrebbe essere stimolata. Senza entrare nel merito delle offerte e controfferte sull’infrastruttura Tim (presentate o da affinare), quello che – testardamente – rimane in piedi è il pregiudizio che il mercato infrastrutturale non possa essere, nel settore delle telecomunicazioni, pienamente concorrenziale. E da qui l’idea che la rete di accesso debba necessariamente essere in qualche modo “nazionale” o “diversamente unica”.
Questa idea è sbagliata, perché la rete non è un monopolio naturale. Inoltre, moltiplicare la rete di accesso significa rendere la rete resiliente. Si obietta che c’è un disinteresse degli operatori a investire in determinate aree del paese che rischiano di rimanere tagliate fuori dalla infrastruttura a banda ultralarga. Si dimentica però che dal 2015 l’Italia ha deciso di utilizzare risorse pubbliche per ridurre il ritardo infrastrutturale in queste zone rurali (aree bianche) o lontane dai grandi centri abitati (aree grigie). Lo stato si è fatto – giustamente – carico di mettere tutti i cittadini potenzialmente in grado di accedere a una rete a banda ultralarga, dimostrando così che eventuali squilibri negli investimenti possono essere corretti senza danneggiare la concorrenza tra operatori. Lo stato, pertanto, avendo iniziato a fare la sua parte nelle cosiddette aree “a fallimento di mercato”, dovrebbe agevolare la concorrenza nelle aree nere, quelle dove la domanda è forte. Come?
Una strada, in parte già avviata è quella di ridurre i vincoli e i costi amministrativi per la posa di fibra. In questo modo anche i nuovi operatori avrebbero convenienza a costruire una propria rete, senza prendere in affitto quella di Tim. Questo dovrebbe essere l’obiettivo: moltiplicare le reti, non ridurle a una. L’altra è agire sui prezzi della fibra all’ingrosso dell’incubent. Si dimentica che già la concorrenza sul fisso in Italia è fortemente condizionata da un mercato iper regolato. L’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) svolge un incisivo ruolo per ridurre il potere di mercato dell’incumbent. I pilastri di questa politica regolatoria sono essenzialmente due. Uno è rappresentato dagli impegni Tim sulla parità di accesso, che hanno visto nascere, ormai 12 anni fa, l’Organo di vigilanza per la parità di accesso alla rete Tim che continua a svolgere un importante ruolo di vigilanza a supporto dell’Agcom per garantire che l’incubent non discrimini gli altri operatori quando utilizzano la sua rete per offrire servizi di connettività ai clienti finali.
L’altro pilastro è la regolazione dei prezzi all’ingrosso, ovvero quanto Tim può far pagare agli operatori per l’utilizzo della propria infrastruttura. Proprio in questi giorni si è chiusa la consultazione Agcom. I prezzi sono attualmente inferiori a quelli stabiliti in altri paesi Ue, che li hanno ritoccati tenendo conto della inflazione e dei maggiori costi delle componenti energia e lavoro. L’Agcom ha proposto un aumento di tali prezzi (per singola linea), che rimangono inferiori di Francia o Germania, con l’obiettivo di ridurre lo scalino tra servizi di accesso in fibra e quelli in rame.
L’Agcom agisce quindi sui prezzi per incentivare la migrazione alle nuove reti in fibra che risulta essere più “conveniente” per gli operatori. Infatti, solo una lettura statica della proposta Agcom può dare luogo a una “valorizzazione” della rete in rame, in concreto per le dinamiche dell’offerta e della concorrenza gli operatori saranno stimolati proprio a ridurre l’utilizzo del rame il cui prezzo aumenta proporzionalmente di più rispetto a quello della fibra. Ciò da una parte stimola l’incumbent a rafforzare gli investimenti in fibra a fronte della maggiore richiesta wholesale degli operatori: se c’è più domanda ci sarà anche maggiore offerta. Ma stimola anche gli operatori a realizzare una propria infrastruttura laddove ha già posato fibra fino al cabinet di Tim. Così si avranno ulteriori benefici per i cittadini sia in termini di qualità di accesso alla rete che di una più facile comparabilità delle offerte dei servizi di accesso.