insidie
La grana Monte dei Paschi, tra i dossier più delicati del governo Meloni
Dopo Enpam, l’uscita dal capitale di Axa, che ha venduto quasi per intero il suo pacchetto di azioni, complica la strategia del ministero dell'Economia sull'istituto senese
Montepaschi torna al centro della scena ricordando che tra i dossier più delicati del governo Meloni c’è la privatizzazione dell’istituto senese. Secondo l’agenzia Reuters, il ministero dell’Economia avrebbe di recente valutato una possibile aggregazione con Banco Bpm, ma quest’ultimo ha smentito seccamente. “Banco Bpm non è intenzionata a perseguire un’operazione con Mps”, ha detto il presidente Massimo Tononi a margine di un cda. E’ una scena già vista: il Mef che cerca un compratore tra gli operatori di mercato e questi che svicolano, anche se forse non è la scena che immaginavano il ministro Giancarlo Giorgetti e l’ad della banca, Luigi Lovaglio, ora che il Monte ha ritrovato una certa stabilità grazie all’aumento di capitale da 2,5 miliardi.
Ma le insidie sono sempre dietro l’angolo. Proprio il buon esito della ricapitalizzazione, che in pochi mesi ha aumentato del 37 per cento il valore di Borsa del Monte, ha generato una finestra di mercato ideale per l’uscita di alcuni degli investitori che avevano aderito ma che non hanno tra i propri obiettivi quello di gestire una banca e non intendono partecipare alle strategie di lungo termine. Così ieri il gruppo francese Axa ha venduto quasi per intero il suo pacchetto di azioni, pari all’8 per cento del capitale, portando a casa una plusvalenza di ben 33 milioni di euro su un investimento di 200 milioni fatto appena quattro mesi fa. La mossa ha generato una certa sfiducia in Borsa, come si è visto dal tonfo del titolo Mps (-8 per cento). Gli analisti di Intesa Sanpaolo sintetizzano così questo sentiment: “Uscendo dal capitale di Mps, Axa rinuncia alla possibilità di svolgere un ruolo nel processo di privatizzazione che avrebbe potuto aprire le porte a una più ampia rete distributiva e il mercato potrebbe interpretare la vendita come un segnale di scetticismo sul risanamento recentemente avviato della società o su una rapida finalizzazione del processo di privatizzazione”.
Parole che tradiscono anche stupore visto che Axa aveva ricostituito una presenza importante nel capitale di Mps diventando il secondo socio dopo il Mef. Ma, evidentemente, la tentazione di passare all’incasso è stata troppo forte per il gruppo d’Oltralpe che in passato si è visto azzerare progressivamente la storica partecipazione del 3,17 per cento in seguito ai vari aumenti di capitale che hanno caratterizzato il percorso accidentato di Siena fino alla nazionalizzazione del 2017. Una sorta di risarcimento postumo o, comunque, una decisione opportunistica che segue di qualche settimana la scelta analoga fatta dalla Fondazione Enpam (la cassa di previdenza di medici e odontoiatri). Quest’ultima a fine ottobre ha acquistato un pacchetto di azioni per 15 milioni e lo ha rivenduto a inizio gennaio per 18 milioni, con una plusvalenza del 20 per cento come ammesso in un annuncio pubblico.
Axa ed Enpam, sebbene con un peso diverso, sono tra gli investitori che nel 2022 hanno accettato di fornire supporto all’operazione di rafforzamento patrimoniale impostato con grande fatica dal Mef, quand’era ancora guidato da Daniele Franco, e concluso lo scorso novembre sotto il governo Meloni appena insediato. “Montepaschi non rappresenta più un rischio sistemico e la banca è padrona del suo futuro”, ha affermato più volte Lovaglio mostrando un entusiasmo che, alla prova dei fatti, si sta rivelando eccessivo. A scongiurare un vero e proprio crollo del titolo Mps ieri sono stati i rumor sul fatto che il pacchetto del gruppo francese sia stato collocato presso un gruppo di investitori istituzionali, il che rappresenterebbe la prova che su Siena c’è comunque attenzione.
Ma non manca chi avanza l’ipotesi che dietro il disimpegno del gruppo francese ci sia in realtà la diversità di vedute con i vertici dell’istituto su come avrebbe dovuto evolversi la partnership bancassicurativa, che scade nel 2027. Comunque sia andata, è lecito domandarsi se si siano finalmente create le condizioni per l’uscita del Mef dal capitale della banca, come auspica l’Europa, oppure se ci si debba preparare a un nuovo circolo di informazioni incontrollate che ipotizzano uno scenario di risiko che nella realtà non esiste.