Foto Ansa

le stime

Il Superbonus ha prodotto solo +1 per cento di pil in 2 anni, dice l'Upb

Luciano Capone

Non è vero che la misura si ripaga da sé come dice Conte. L'incidenza sulla crescita è stata minima, meno di un decimo del +10,7% registrato nel biennio, mentre nello stesso periodo è costata circa 3 punti di pil. La relazione dell'Ufficio parlamentare di bilancio

Tra i fumogeni della politica e i fuochi d’artificio dei portatori di interessi, che parlano di moltiplicatori fantasmagorici e di effetti sulla crescita economica a doppia cifra, è difficile orientarsi sul reale impatto economico del Superbonus. Fino a poco fa la narrazione era che il credito d’imposta al 110 per cento (lo stato paga tutti i lavori e in più ci rimette un altro 10 per cento) fosse un affarone non solo per imprese e famiglie beneficiarie, ma anche per tutta la collettività: perché il Superbonus “si ripaga da sé” e perché  “è stato un volano formidabile per la crescita economica, +10,7 per cento in due anni”, come ha appena detto l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Il costo del Superbonus e del Bonus facciate, nettamente superiore alle previsioni formulate nelle relazioni tecniche di almeno 50 miliardi di euro, è stato reso più evidente nelle settimane scorse dall’intervento dell’Eurostat che ha costretto il governo a chiudere i rubinetti della spesa e arrestare la cessione dei crediti per il futuro. Per quanto riguarda, invece, l’impatto sul pil dell’incentivo edilizio a disperdere la cortina fumogena è arrivato l’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb), l’organismo indipendente italiano che vigila sulla finanza pubblica.  In audizione al Senato, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sui crediti fiscali, la presidente dell’Upb Lilia Cavallari ha fornito una stima del contributo alla crescita del Superbonus nel biennio di ripresa  post-Covid 2021-22 che è di circa 1 punto percentuale, ovvero mediamente +0,5 per cento all’anno. “Secondo i dati Istat – dice l’Upb – nel biennio scorso il contributo alla crescita del pil degli investimenti in costruzioni residenziali è stato di 2 punti percentuali. Usando il modello macroeconometrico in uso all’Upb è possibile ricostruire che metà del contributo sarebbe direttamente ascrivibile all’incentivo fiscale”. Quindi, 1 punto percentuale in due anni. Ovvero meno di un decimo della crescita complessiva che è stata del  10,7 per cento.

Nella sua analisi, l’Upb scrive che è vero che nello scorso biennio il settore delle costruzioni è cresciuto a ritmi sostenuti e superiori a quello di altri paesi europei, ma sottolinea come solo una parte dell’espansione “è ascrivibile agli investimenti in abitazioni, in quanto è risultata molto pronunciata anche l’accumulazione di costruzioni non residenziali e in opere pubbliche che non hanno beneficiato di alcun incentivo”. Pertanto,  sottolinea come gli investimenti residenziali nel biennio 2021-22 “sono cresciuti di circa 43 miliardi, un valore molto elevato rispetto alle dinamiche storiche, ma inferiore a quello del complesso delle agevolazioni edilizie nello stesso biennio (in particolare, il Superbonus, il bonus facciate e l’incentivo alle ristrutturazioni edilizie)”. Questo indica, secondo quanto affermato dalla presidente Cavallari, un possibile effetto di spiazzamento, ovvero di spostamento degli investimenti da settori non incentivati a quelli che offrivano il Superbonus e quindi margini più elevati. Non solo la crescita cumulata degli investimenti in edilizia residenziale è stata di 43 miliardi – circa la metà degli 80 miliardi di crediti di Superbonus e Bonus facciate – ma la crescita dell’edilizia nel suo complesso è stata metà della metà: 22 miliardi di euro.

Questo effetto di sostituzione o di spiazzamento, emerge così dal modello macroeconometrico dell’Upb secondo cui “rispetto al contributo alla crescita del pil dell’investimento in costruzioni residenziali indicato dall’Istat per il 2021-22 (2 punti percentuali), la metà sarebbe ascrivibile all’incentivo fiscale”. Solo un +1 per cento del pil in due anni, che però nello stesso arco temporale è costato circa 3 punti di pil di spesa pubblica. Si è trattato, insomma, in larghissima parte di un semplice trasferimento di ricchezza dalle casse dello stato (ovvero dalle tasche di tutte le famiglie) ai patrimoni del 3 per cento di  fortunati che hanno ristrutturato la casa e ai bilanci delle imprese che  hanno realizzato i lavori.

La stima dell’Upb, presentata ai senatori dalla prof. Cavallari, può sembrare molto riduttiva, ma è peraltro coerente con l’analisi econometrica fatta dalla Banca d’Italia, ed esposta sempre in audizione al Senato, secondo cui solo “la metà degli investimenti che hanno beneficiato del Superbonus hanno carattere aggiuntivo, non si sarebbero cioè verificati in assenza dell’incentivo”. Al netto delle dichiarazioni dei politici e delle stime di parte dei costruttori, queste sono al momento le uniche analisi serie e indipendenti.
 

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali