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l'analisi

Il Btp Italia parte bene, ma la strategia sovranista del governo ha un punto debole

Mariarosaria Marchesano

La seconda emissione di titoli di stato viene premiata da famiglie e imprese in cerca di rifugio dall'inflazione. L'obiettivo è aumentare la quota di debito in mano ai privati italiani. Ma "un governo non dovrebbe sottrarsi al giudizio dei mercati". L'analisi di NoRisk

E’ partito bene ieri il secondo Btp Italia del governo Meloni (il primo risale allo scorso novembre e ha raccolto 12 miliardi di euro, di cui 7 miliardi dai piccoli risparmiatori). Marcello Rubiu, amministratore unico di NoRisk, società di consulenza finanziaria indipendente, l’unica ad aver costruito un indice del Btp Italia da quando è stato lanciato la prima volta nel 2012, spiega al Foglio perché: “Con l’inflazione ancora così elevata, la prima cedola del Btp Italia potrebbe essere molto consistente, ma questi titoli si presentano interessanti su tutta la durata dei cinque anni per le famiglie che stanno subendo l’erosione del potere d’acquisto”. 

Il calcolo è presto fatto: il Mef ha fissato la cedola annua minima al 2 per cento e un premio fedeltà dell’8 per mille per chi tiene i titoli fino alla scadenza, che si aggiungono alla rivalutazione del capitale in base al caro prezzi. Pur con un’inflazione prevista in discesa dagli attuali livelli (8,5 per cento a febbraio), si calcola che il rendimento potenziale medio annuo del Btp Italia sarà del 5-6 per cento da qui fino al 2028 (anno di scadenza) con un picco del 7-8 per cento il primo anno. Tale rendimento, fa notare Rubiu, è più elevato dei Btp ordinari della stessa durata che con lo spread a 178 punti base, è inferiore al 4 per cento.

Il governo Meloni conta molto su questa emissione per inaugurare una fase di attivismo fiscale di tipo sovranista-patriottico convinto com’è della necessità di aumentare la quantità di debito pubblico nelle mani delle famiglie italiane. Ha senso questa strategia? “Il mio giudizio sul Btp Italia è positivo, sulla strategia che ci potrebbe essere dietro sono, invece, più scettico”, prosegue Rubiu, che ricorda quanto sia importante per i detentori di risparmio evitare la concentrazione del rischio in un unico paese mentre il principio da seguire è sempre quello della diversificazione. Dunque, i Btp vanno bene ma senza esagerare, giusto? “Quando si tratta di denaro non ha senso parlare di patriottismo, la percentuale di titoli di stato in un portafoglio di risparmio non dovrebbe mai superare il 30 per cento”, aggiunge l’esperto. Ma c’è anche un altro aspetto, che ha a che fare con l’intento del governo di contrastare le oscillazioni dello spread. “Credo che il modello a cui si guardi sia un po’ quello del Giappone, che nonostante un rapporto debito-pil del 230 per cento, non conosce crisi del debito sovrano proprio perché gran parte è custodito nelle mani di famiglie fedeli alla nazione. Ma non è secondo me un modello da imitare perché un governo non dovrebbe sottrarsi al giudizio dei mercati sulla sostenibilità delle politiche fiscali, che altrimenti rischiano di andare fuori controllo, come in alcuni casi è accaduto”.  

Secondo questo ragionamento, la presenza di investitori esteri nell’allocazione del debito pubblico tricolore può rappresentare un termometro dell’adeguatezza della spesa pubblica. Ma al Mef non la pensano esattamente così e quello che prevale è l’orientamento a modificare i pesi dell’attuale suddivisione dello stock complessivo di titoli di stato che vede la Banca d’Italia (quindi, la Bce) al primo posto con il 31 per cento, le banche nazionali al 18 per cento, le società finanziarie al 15 per cento, altri residenti all’8 per cento e soggetti non residenti al 28 per cento. Quello che si vorrebbe fare è aumentare la quota di debito italiano nelle mani degli “altri residenti”, che rappresenta la categoria identificabile con le famiglie e con le imprese (quelle non di carattere finanziario, quindi sempre privati) dall’attuale 8 per cento a un livello che almeno si avvicini al 15 per cento di 10 anni fa. Un’operazione che, secondo il Mef è più che mai urgente ora che l’Italia non ha più la stampella della Bce. Evidentemente, è ancora fresco l’eco del tweet di Robin Broox, ex banchiere di Goldman Sachs e responsabile economista dell’International Institute of Finance, che lo scorso ottobre, quando il governo Meloni si era appena insediato, ricordò al mondo che “l’emissione netta di nuovo debito da parte dell’Italia è stata finanziata quasi interamente dalla Bce in sei dei sette anni compresi tra il 2015 e il 2021”.

I Btp Italia, comunque, non sono assolutamente una novità: dal 2012 ad oggi sono avvenute 19 emissioni, ma l’inflazione è sempre stata molto bassa per cui la loro appetibilità era relativa. A giugno 2022 è stato il governo Draghi a promuovere un’emissione mentre l’inflazione nel nostro paese correva verso il traguardo del 10-12 per cento regalando una prima ricca cedola semestrale a fine anno. 

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