La telenovela
Ecco perché Tim vuole evitare a tutti i costi le nozze con Kkr
Il consiglio di amministrazione, giovedì 15, dovrebbe dire la sua ma le variabili sono molte. L'offerta del fondo americao nasconde tuttavia una serie di insidie, mentre su quella di Cassa depositi e prestiti incombe l'incognita dell'Antitrust. I dubbi di Vivendi
E’ durato un giorno, in borsa, l’ottimismo della volontà, poi è tornato il pessimismo della ragione. La telenovela va avanti dal 2006, dall’ormai mitico piano Rovati sullo scorporo della rete (allora di rame), adesso ci sono due offerte, una del fondo KKR e l’altra della Cassa depositi e prestiti. Il consiglio di amministrazione della Tim giovedì 15 dovrebbe dire la sua, ma le variabili sono ancora molte. I vertici dell’ex monopolista stanno facendo i conti, esaminano le condizioni e invitano alla massima cautela. Le differenze maggiori non stanno nel prezzo, attorno ai 18 miliardi di euro dei quali dieci in contanti, ma nel contenuto industriale.
L’offerta di KKR che potrebbe aggiungere anche un premio di altri 2 miliardi, è subito efficace, mentre la Cdp dovrebbe passare per l’antitrust che imporrà di vendere parti della rete in fibra ottica soprattutto nelle grandi città (cioè nella fascia più ricca del mercato). Ma il fondo americano chiede che Tim, una volta ceduta la rete, stipuli un contratto d’affitto esclusivo, così parte dell'esborso tornerebbe nelle tasche del nuovo proprietario. Insomma, è come vendere una casa per poi pagarne l’affitto.
Sia con KKR sia con Cdp, Tim sarebbe alleggerita dai due macigni che la tengono inchiodata al suolo: i debiti e il personale. L'indebitamento finanziario netto nel 2022 è ammontato a 25,4 miliardi di euro in aumento di 3,2 miliardi di euro rispetto al 31 dicembre 2021, con ricavi dai servizi pari a 14 miliardi di euro. La capitalizzazione di borsa è a 6,6 miliardi di euro, troppo bassa rispetto ai concorrenti (Vodafone 27 miliardi, Orange 28 miliardi, Deutsche Telekom supera i 100 miliardi). L’amministratore delegato Pietro Labriola ha parlato agli analisti di “operazioni straordinarie” per ridurlo. Insomma, la separazione ormai è inevitabile. Quanto ai dipendenti, in Italia sono oltre 42 mila e bisognerà capire quanti entreranno nella nuova società. Tutto è ancora da precisare.
L’offerta della Cassa evita costosi colpi di coda e ha il vantaggio di avviare la rete fissa verso quella unificazione ormai diventata un mantra nonostante non sia di per sé necessaria come si dice: con il golden power tanto esteso ormai il governo controlla quasi tutto, inoltre sulle 15 milioni di linee posate, solo una su cinque viene utilizzata. In più c’è l’ostacolo antitrust in Italia e in Europa. Margrethe Vestager la vestale della concorrenza ora vicepresidente della Ue, non ama la reductio ad unum e vuole imporre condizioni eque e competitive. Va ricordato inoltre che in questi anni la corsa alla fibra ottica ha creato una matassa difficile da dipanare. La Cdp è azionista di Tim con il 9,9 per cento e possiede il 60 per cento di Open Fiber la società rivale nata per colmare il gap digitale soprattutto nelle aree meno coperte o addirittura scoperte. Il restante 40 per cento è in mano al fondo australiano Macquarie che partecipa insieme alla Cassa all’offerta per tutta la rete fissa di Tim, compresa quella sottomarina nella controllata Sparkle. C’è un groviglio da sbrogliare, secondo l’antitrust, sia a monte sia a valle perché Open fiber ha piazzato i cavi nelle aree dove Tim ha una posizione prevalente. Anche KKR deve scogliere un intreccio perché possiede il 37,5 per cento di FiberCop, la società della rete secondaria, con Tim al 58 per cento e Fastweb al 4,5 per cento.
Al consiglio di mercoledì 15 non parteciperà l’azionista numero uno di Tim, il francese Vivendi che possiede il 23,9 per cento, ma ha scelto l’Aventino, abbandonando tutte le cariche per avere le mani libere e prepararsi allo showdown nella prossima assemblea. Allo stato attuale il gruppo controllato da Vincent Bolloré ha intenzione di dire no a entrambe le offerte. Non si capisce se vuole alzare il prezzo, se preferisce uscire da un investimento che ha provocato ingenti perdite (l’anno scorso lo ha svalutato per 728 milioni di euro) o intende prendere il potere assoluto. Ci sono dubbi più che legittimi dal coté francese: nessuno capisce quanto potrà valere una Tim senza la rete (potrà competere solo con il mobile e il cloud?) né se basterà alleggerire i debiti di appena 8 miliardi. Ma che cosa vuole davvero Bolloré? E poi chi comanda oggi in casa Vivendi? Se lo chiedono nel quartier generale romano. E il governo italiano cosa vuole? La rete unica è un totem che unisce tutte le anime del centro destra, non tutte allo stesso modo. Giancarlo Giorgetti, ministro dell’economia, quindi azionista della Cdp, avrebbe preferito far convergere le due offerte. Adolfo Urso, ministro del made in Italy preferisce una soluzione tutta pubblica. E c’è chi vorrebbe che la Cdp si prendesse l’intera Tim.