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Una riforma del Reddito di cittadinanza "anti leghista"

Luciano Capone

Include gli stranieri ed esclude i poveri del nord: la bozza di riforma targata Calderone è uno schiaffo alla Lega, che amplifica alcune sperequazioni del Rdc. Sarebbe necessaria una differenziazione territoriale in base al costo della vita

Estendere il sussidio agli stranieri e toglierlo agli italiani del nord. Dalle bozze circolate sui giornali in questi giorni, la riforma del Reddito di cittadinanza (Rdc) allo studio del ministro del Lavoro Marina Elvira Calderone rischia di essere il provvedimento più “anti leghista” di sempre. E probabilmente è per questo motivo che subito dopo le prime notizie di stampa il ministero dell’Economia, guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti, si è affrettato a precisare che “al momento, nessuna bozza sulla riforma del Rdc è all’esame degli uffici, né mai è pervenuta la relazione tecnica indispensabile per qualsiasi valutazione”.

 

A questo esito, che non è nelle corde del partito di Matteo Salvini, si arriva per effetto di due cambiamenti. Il primo è l’abbassamento a 5 anni del criterio di residenza in Italia, originariamente posto a 10 anni dal governo Conte proprio per escludere molti stranieri, su cui però la Commissione europea ha aperto una procedura d’infrazione: un requisito così elevato per ottenere il beneficio è “discriminatorio” e contrario al “diritto dell’Ue in materia di libera circolazione dei lavoratori”. L’altro intervento, quello più incisivo, soprattutto perché porterebbe a un risparmio di 2-3 miliardi sugli 8 miliardi attualmente spesi per il Rdc, riguarda la ridefinizione dell’assegno e delle soglie. Il limite dell’Isee (l’indicatore reddituale e patrimoniale) per accedere alla nuova misura di assistenza dovrebbe scendere dagli attuali 9.360 euro a 7.200 euro (seppure con un margine in più per i nuclei con figli).

 

Inoltre, la riforma distingue i beneficiari in due platee: una di “non occupabili” (composta in realtà da famiglie dove c’è un disabile, un minore o un over 60) e una di “occupabili” (ovvero nuclei dove non ce ne sono). Per la prima platea le cose restano più o meno invariate, con un sussidio che parte da 500 euro mensili e viene poi modulato secondo una scala di equivalenza in base alla numerosità del nucleo. Per la seconda, invece, il governo prevede un taglio dell’assegno base a 375 euro al mese e con una durata inferiore. Ebbene, il taglio della soglia Isee taglierebbe fuori una quota significativa dei beneficiari, all’incirca un terzo; mentre la riduzione del sussidio colpirebbe oltre 400 mila nuclei battezzati come “occupabili” (circa il 40 per cento degli attuali percettori di Rdc).

 

Ma se questo è l’effetto complessivo, a livello territoriale l’impatto risulterà più forte nel settentrione dove il costo della vita è mediamente più elevato rispetto al Mezzogiorno. Questo è un problema di disegno del Rdc che già produceva enormi distorsioni. Secondo diversi studi – il più importante fatto per la Caritas da Massimo Baldini, professore di Politica economica dell’Università di Modena e Reggio Emilia – il diverso livello dei prezzi nel territorio nazionale comporta soglie differenziate di povertà che non vengono affatto colte dal Rdc. Così oggi accade che al sud e nei piccoli comuni, dove i prezzi sono più bassi, ci possono essere famiglie non-povere che percepiscono il Rdc; mentre al nord e in particolar modo nelle città, dove i prezzi sono più alti, ci sono famiglie povere che non percepiscono il Rdc perché hanno un reddito nominale più alto delle soglie indicate per legge.

 

Il rapporto della Caritas mostra un dato significativo: nel 2021 le famiglie povere erano 835 mila nel nord e 826 mila nel sud, un numero simile quindi, ma i percettori di Rdc sono risultati essere 756 mila al sud e appena 232 mila al nord. Una sperequazione evidente pure in un altro dato: le famiglie del Mezzogiorno sono il 42% di quelle in povertà, ma rappresentano il 65% di quelle che percepiscono il Rdc; all’opposto le famiglie del nord sono il 43% di quelle povere ma rappresentano appena il 20% di quelle beneficiarie di Rdc. Non è quindi un caso che, secondo l’Istat, nel 2021 il rischio di povertà e diminuito al sud e aumentato al nord.

 

Questa distorsione rischia di essere ulteriormente amplificata dalla riforma Calderone: è vero che da un lato l’abbassamento del requisito di residenza a 5 anni va a beneficio del nord, dove risiede la maggior parte degli stranieri; ma i più colpiti dalla modifica dell’Isee e dal taglio dell’assegno saranno proprio i poveri italiani settentrionali già penalizzati dal Rdc. Per riequilibrare questo paradosso politico, la Lega potrebbe ricorrere alla sua bandiera “federalista”: cioè chiedere – come peraltro suggeriscono la Caritas e diversi esperti – di introdurre soglie territoriali differenziate: una quota fissa nazionale a cui aggiungere importi variabili in base al costo della vita tra aree geografiche (nord e sud) e al loro interno (città e piccoli comuni).

 

Si tratta, insomma, di guardare ai valori reali più che a quelli nominali e di applicare un principio di equivalenza peraltro già adottato nella scala per assegnare il sussidio alle famiglie: la numerosità del nucleo familiare è un fattore di cui tenere conto nell’attribuzione del beneficio, ma allo stesso modo dovrebbe esserlo valutare dove queste famiglie vivono. Il Rdc presenta evidenti distorsioni che però vengono solo amplificate se si fanno tagli seguendo la stessa logica. Un approccio diverso, che Giorgetti e Salvini possono presentare come “federalista”, può invece servire a correggere qualche stortura.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali