L'analisi
Il piano Ue per le case green non funziona e va cambiato, ma non demolito
Il programma europeo è poco utile dal punto di vista delle emissioni, molto costoso e di fatto impraticabile. Ma si deve avere la capacità di trovare una via intermedia: il tempo c'è
Dopo la battaglia sulla fine della produzione dei motori endotermici nel 2035 a favore dei motori elettrici, misura che sta dividendo l’Unione europea, un altro tema divisivo si affaccia. Il Parlamento ha approvato la nuova direttiva sull’efficientamento del patrimonio edilizio dettando scadenze ravvicinate per gli edifici pubblici e per quelli privati. Entro il 2033, per prendere la scadenza principale, dovrebbero essere tutti, con qualche eccezione, in classe energetica D. Tralasciando i particolari, si tratterebbe per l’Italia di migliorare il rendimento energetico di milioni di edifici che si trovano oggi in classe E e F. Per dare un termine di riferimento, con il bonus 110 gli edifici interessati sono stati 360 mila con una spesa di 60 miliardi. Rifuggo dalla tentazione di facili moltiplicazioni che ci porterebbero a dovere considerare necessari investimenti di fantastiliardi da trovare non si sa come, ma mi limito a porre qualche domanda.
Primo. Di quanto si ridurrebbero le emissioni complessive della Ue e quelle mondiali? Un conto necessariamente spannometrico indica un range di riduzione delle emissioni mondiali intorno all’1 per cento nel 2050 rispetto alle emissioni nel 2022. Ma è facilmente prevedibile che il peso europeo nel 2050 sia ben minore e quindi anche minore la riduzione percentuale. Secondo. Quale è in termini economici il tempo di ritorno dell’investimento necessario? Esso dovrebbe ripagarsi in un tempo ragionevole grazie al minor costo dell’energia utilizzata. Il che comporta una prima difficoltà. Stimare quale sarà il costo e la disponibilità di energia per un arco di tempo piuttosto lungo. È chiaro che se l’investimento si ripagasse in termini congrui e compatibili con una buona amministrazione non vi sarebbe bisogno di particolari forzature. La recente impennata dei prezzi dell’energia come abbiamo constatato ha portato a numerose azioni di efficientamento e risparmio. Ma ci vorrebbero prezzi costantemente ed eccezionalmente alti, situazione da non augurarsi, per giustificare investimenti che oggi si ripagherebbero solo nell’arco di tempi molto, molto lunghi. Terzo. Chi paga?
È evidente che, se i tempi previsti restassero quelli indicati dal Parlamento europeo, sarebbero necessari giganteschi investimenti inevitabilmente supportati da altrettanti colossali incentivi pubblici. Come dimostra la vicenda del Superbonus 110 l’Italia non ha, forse al contrario di altri paesi, lo spazio fiscale per affrontare un impegno di questo genere. Senza considerare la tensione già sperimentata sulla disponibilità di risorse umane e materiali e sui prezzi per mettere in lavorazione circa 1 milione di edifici all’anno. In sintesi un’impresa così impostata è poco utile dal punto di vista delle emissioni, molto costosa e di fatto impraticabile. Perché quindi questa scelta? E ha ragione il governo italiano che minaccia fuoco e fiamme?
No, si deve individuare una via intermedia perché l’efficientamento energetico presenta dei vantaggi se fatto con raziocinio e con i giusti tempi. Certo, l’impostazione super ideologica dell’Unione europea che sembra governata su questi temi da un estremismo che non tiene conto né dei tempi né delle risorse disponibili, visibile ormai in una serie impressionante di dossier (auto, case, nucleare, rinnovabili, agricoltura, eccetera) non aiuta. Voci sempre più impazienti e irritate vengono indirizzate verso il commissario Frans Timmermans e il suo entourage, accusato fra l’altro di aprire in questo modo la strada ai conservatori e alla destra alle prossime elezioni europee. Probabilmente invece un fondo europeo a questo destinato, come proposto da Luigi Marattin, e distribuito su un tempo molto più lungo svolgerebbe un’utile funzione. Certo, investire nel patrimonio edilizio rappresenta un volano importante per l’economia italiana. Ma, come ha dovuto ricordare Giorgetti agli economisti creativi della Lega, convinti che le stampatrici della Zecca potessero renderci tutti ricchi e spensierati, il denaro non solo non è gratis ma è tornato a costare caro. E si vede. Distinguere quindi fra debito buono e debito cattivo è un esercizio da fare con sempre maggiore attenzione. L’approvazione del Parlamento è solo il primo passo. L’iter è ancora lungo. C’è tempo per mettere le cose a posto in modo ragionevole e in questo dovrebbe impegnarsi anche il governo italiano.