Editoriali
Ora Meloni è favorevole anche al Ceta
Il governo dice sì alla ratifica dell’accordo col Canada contro cui si scagliava Fratelli d'Italia
Fino a qualche anno fa, Giorgia Meloni si scagliava contro i trattati di libero scambio che l’Unione europea aveva siglato con i paesi occidentali alleati. L’obiettivo principale era il Ceta (Comprehensive economic and trade agreement) con il Canada, contro cui Meloni – insieme a sinistra e Verdi, Lega e M5s passando per la Cgil – si opponeva strenuamente. “Il Ceta, trattato di libero scambio Ue-Canada, è una porcata contro i bisogni dei popoli. FdI si batterà in Italia contro la ratifica”, tuonava la premier. Se la prendeva con i traditori dell’interesse nazionale, come Forza Italia, che invece era favorevole: “Il Ceta danneggerà pesantemente il Made in Italy agroalimentare e le nostre produzioni di qualità ed è l’ennesima marchetta della Ue alle grandi multinazionali. Chi vota la ratifica di una schifezza che massacra il Made in Italy non può essere alleato di FdI”, insisteva.
Il trattato era in realtà appoggiato dai principali consorzi d’eccellenza italiani, perché introduce tutele che non c’erano e apre nuovi mercati abbattendo barriere tariffarie e regolatorie. E i dati lo hanno dimostrato ampiamente: secondo la Commissione Ue, in cinque anni di applicazione provvisoria del Ceta, l’export italiano in Canada è aumentato del 36 per cento (più del doppio rispetto all’export verso altri paesi extra Ue). Se ne è reso conto anche il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, meloniano di ferro, che ha detto sì alla ratifica del Ceta: “Ci sono accordi che si sono avviati e hanno sviluppato alcuni dati che sono a vantaggio delle nostre produzioni o mettono noi in condizione di competere in altri continenti”, ha detto a margine del Consiglio Ue.
La retromarcia è il frutto di una visione “molto pragmatica”, dice Lollobrigida, che è un eufemismo per dire che prima dicevano tante stupidaggini. E’ comunque un buon segnale per il paese e una prova di maturità per il governo Meloni, che per il bene del paese dovrebbe avere altrettanto “pragmatismo” sulla ratifica del Mes.