l'analisi
Stabilità finanziaria e inflazione, due problemi distinti per la Bce
Il rialzo dei tassi d’interesse è nocivo per il settore bancario? Le banche centrali devono prendere una pausa nel rialzo dei tassi? Alcuni chiarimenti
In generale, tassi d’interesse alti non sono un problema per le banche, anzi sono una manna. Il ruolo principale delle banche, infatti, è quello di raccogliere risparmio a breve termine sotto forma di depositi per finanziare progetti a lungo termine (esempio: i mutui). Il profitto bancario (il margine d’intermediazione) deriva dalla differenza fra due tassi d’interesse, quello a breve e quello a lungo. Per questa ragione, non sorprendentemente, dal 2008 in poi le banche si sono lamentate a più riprese dei bassi tassi d’interesse. L’acquisto di titoli a lungo termine da parte delle banche centrali, ovvero le politiche monetarie non-convenzionali messe in atto negli ultimi 10-15 anni, avevano come obiettivo esplicito di appiattire la curva dei rendimenti, diminuendo il margine d’intermediazione e quindi i profitti delle banche.
Non solo, ma mentre nell’ultimo anno la stretta monetaria ha alzato i tassi d’interesse per frenare l’inflazione, la scarsa competitività del settore bancario è riuscita a tenere bassi i tassi di remunerazione dei depositi, ovvero quanto ogni risparmiatore guadagna tenendo liquidità su un conto corrente (i lettori si chiedano se il tasso sul proprio conto corrente è aumentato). Detto in termini semplici: nell’ultimo anno le banche hanno fatto molti profitti proprio grazie all’aumento dei tassi. A riprova, si consideri che da novembre 2021, ovvero da quando i tassi hanno iniziato a salire, l’indice del settore bancario americano ha over-performato quello generale di circa il 10 per cento.
Il secondo aspetto da chiarire è che Silicon Valley Bank (Svb) non è entrata in crisi per il rialzo dei tassi, o quantomeno non solo. Effettivamente, nel breve periodo, ossia transitoriamente, l’aumento dei tassi può provocare qualche problema per le banche, a seconda del modello di business. Come tutte le banche, anche Svb si indebitava a breve e impiegava capitali a lungo, soprattutto in titoli di stato americani. Con l’aumento dei tassi, il valore di mercato dei titoli a lungo è sceso di molto, costringendo la banca a liquidare una parte dell’attivo e innescando una spirale negativa fra prezzi e capitale. Ma occorre sottolineare che non vi era un problema di qualità dell’attivo di Svb (i titoli di stato americani sono i più sicuri e liquidi del mercato). Vi era, semmai, un rischio che derivava dalla duration degli asset; rischio conto il quale normalmente le banche (almeno in parte, essendo costoso) si assicurano e che invece, per quanto si può dedurre dalle informazioni pubbliche, è stato ignorato dal management di Svb, nonostante l’impennata dell’inflazione e la conseguente prevista e annunciata reazione della Fed.
Il terzo aspetto da chiarire è che il modello di business di Svb era forse particolarmente fragile. Per la maggior parte delle banche commerciali, infatti, i depositi non sono elastici al tasso di remunerazione. Ovvero, quando il tasso che i correntisti percepiscono sui loro depositi aumenta in un istituto, i correntisti degli altri istituti non muovono i propri capitali, a meno che la differenza tra istituti non sia grande. Questo, però, non era il caso della clientela di Svb che era costituita da imprese che avevano giacenze importanti (quasi tutte sopra il limite di 250 mila dollari per l’assicurazione sui depositi) e quindi molto sensibili a variazioni del tasso. Una volta che i tassi hanno iniziato a salire, Svb è entrata in crisi perché costretta ad alzare i tassi sui depositi per la natura dei propri depositi: molto elastici e soggetti alla concorrenza degli altri istituti di credito.
Svb non è fallita per il rialzo dei tassi, i cui effetti sono sentiti da chiunque ha in portafoglio titoli con alta duration. Svb è fallita perché il management ha incredibilmente ignorato una larga letteratura su questo principio basilare della finanza: il Nobel 2022 per l’economia è stato assegnato infatti proprio a questo riguardo.
L’ultimo aspetto da chiarire riguarda l’azione delle banche centrali. In molti hanno invitato la Fed e la Bce a prendere una pausa nel rialzo dei tassi per controllare l’inflazione proprio temendo altri fallimenti bancari. In realtà, finché il punto non è la solvibilità dell’attivo bancario ma solo la liquidità dello stesso, il problema non si pone, soprattutto considerando la nuova linea di credito della Fed che scambia titoli di stato alla pari. Il problema diventerebbe tale, invece, se si verificassero prestiti deteriorati a cause di crisi reali (ovvero una recessione) che si ripercuote sulla capacità delle famiglie e delle imprese di ripagare i muti e i prestiti. Fino a quel momento, le banche centrali fanno bene (inclusa la Bce la settimana scorsa), a nostro avviso, a distinguere i due problemi: da un lato la liquidità che si affronta con il supporto alle banche tramite appositi strumenti, e dall’altro l’inflazione che si affronta con il rialzo dei tassi (e possibilmente con la politica fiscale).
Molte domande rimangono sul piatto: dato il tipo di business, Svb andava salvata oppure è stato un errore? Altre banche regionali hanno lo stesso problema? Cosa succede se i correntisti diventano sensibili a variazioni del tasso d’interesse anche nelle grandi banche commerciali? Dal nostro punto di vista vi sono due certezze. Il sistema bancario è fragile per sua natura. Come tale, richiede costante regolamentazione e supervisione. L’altro è che il problema dell’inflazione è tutt’altro che risolto. Rinunciare a un’azione decisa dal lato dei prezzi oggi, confondendo i due problemi, rischia di rivelarsi un boomerang domani.
Guido Ascari e Riccardo Trezzi. Le opinioni espresse nell’articolo sono personali degli autori e non riflettono in alcun modo la visione ufficiale della Banca Centrale Olandese, di cui Guido Ascari (Università di Pavia) è advisor