la riflessione
Non si può impedire allo stato di intervenire nelle grandi crisi bancarie
Bene i mercati, ma in casi di particolari instabilità è lo stato l'unico titolato a garantire e perseguire l’interesse nazionale
La crisi della Silicon Valley Bank e a seguire la crisi del Credit Suisse ha messo in allarme i mercati finanziari e le stesse banche centrali per paura di un effetto domino. Le diverse tipologie di vigilanza spiegano in larga parte questi fenomeni ma non v’è dubbio che la globalizzazione economica favorisca la interconnessione dei fenomeni e in particolare di quelli finanziari. Detto questo sarebbe saggio per l’Eurozona ripensare al cosiddetto bail-in approvato alcuni anni fa con grande superficialità in un processo legislativo europeo avviato quando era in carica il governo Monti, se il ricordo non ci tradisce. Per essere brevi, concisi e compendiosi come si suol dire, quella normativa impedisce l’intervento dello stato per salvare dal default una banca in grandissima difficoltà, responsabilizzando esclusivamente manager, azionisti obbligazionisti e finanche i depositanti oltre i centomila euro. Insomma il trionfo del mercato cui vengono trasferiti, nel caso del sistema bancario, i poteri ultimi che normalmente risiedono e appartengono agli stati. Non è un caso che nelle grandi democrazie, a cominciare dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, i poteri ultimi sono strettamente tenuti dai governi in nome dello stato. In caso di grandi difficoltà finanziarie i governi di quei paesi hanno nazionalizzato di tutto e di più anche solo per il tempo necessario a risolvere le crisi, come ad esempio nel caso della casa automobilistica Chrysler.
I mercati sono una formidabile garanzia delle libertà personali e collettive ma non potranno mai essere il potere ultimo perché la loro funzione è la massimizzazione del profitto e una sua redistribuzione con il criterio del più forte e del più intelligente. Se queste sono oggettivamente le loro naturali vocazioni, i mercati non potranno mai gestire i cosiddetti poteri ultimi. I mercati hanno la piena libertà al proprio interno ma non si può impedire che lo stato intervenga per l’interesse nazionale e a proprio giudizio sugli effetti e i guasti delle libertà dei mercati. Insomma, in una democrazia nessuno oltre lo stato può gestire i poteri ultimi perché diversamente ci troveremmo, nel caso specifico, in una dittatura dei mercati gestiti peraltro spesso da forze egemoniche intollerabili. I mercatisti, come li chiama Giulio Tremonti, non dovranno mai consentire il paradosso per cui le libertà dei mercati limitano le libertà degli stati per sanare i guasti delle libertà degli stessi mercati.
Questo tema, a nostro giudizio fondamentale in un mondo globalizzato con una economia finanziarizzata, si tira dietro un’altro tema che farà storcere il naso agli idolatri dei mercati così come oggi sono strutturati. La grande forza dei mercati globalizzati impone una più forte presenza pubblica nell’economia reale. Francia e Germania lo hanno sempre compreso e hanno mantenuto una forte presenza pubblica nell’economia reale, mentre in Italia l’arrivo della sinistra al potere dopo le criminali follie di Tangentopoli ha portato all’esatto contrario, tanto che oggi la realtà ci sta imponendo di rinazionalizzare parte di ciò che fu venduto per una falsa ideologia accompagnata da scandali mai emersi come quello della Seat pagine gialle. Capire il passato garantisce un diverso futuro che possa tra l’altro colpire alla radice le cause vere delle grandi diseguaglianze tra le nazioni e dentro ogni singola nazione.