L'iniziativa
Una Pa zoppa, dove la digitalizzazione resta poco più di un'aspirazione
L’Osservatorio burocrazia di Cna misura il peso di norme e procedure sulle Pmi. E il problema dell'autonomia, che nel pubblico è spesso disordinata
Tra le missioni del Pnrr, l’accelerazione della digitalizzazione del paese riveste un ruolo strategico per la competitività del nostro sistema economico. Le più recenti rilevazioni indicano che l’Italia nonostante importanti progressi continua a occupare la 19esima posizione tra i paesi Ue per indice di digitalizzazione della P.a. con un punteggio di 58,5, inferiore al valore medio di 67,3. Sul fronte opposto il 60,3 per cento delle pmi italiane ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale, contro la media europea che si ferma al 56 per cento. Esiste un evidente solco tra le due performance, ancor più profondo in relazione ai diversi benchmark.
Per le imprese l’indice di digitalizzazione è imposto dal mercato di riferimento. Se l’impresa non soddisfa i requisiti della domanda viene espulsa in virtù dei princìpi darwiniani che regolano il libero mercato. Per la P.a. esistono invece target generici e non vincolanti, e senza alcuna relazione rispetto alle esigenze del sistema produttivo e dei cittadini. Uno squilibrio che nel tempo ha prodotto un crescente mismatch tra pubblico e privato in relazione all’avanzamento del processo di digitalizzazione con evidenti conseguenze sulla competitività dell’azienda Italia. Per quanto indicativi e importanti i numeri e le percentuali raccontano solo un pezzo della realtà del fare impresa in Italia. Il tasso di digitalizzazione deve essere connesso alle procedure, alle norme, all’integrazione dei sistemi.
È questo insieme che compone l’ambiente economico ed è la mancanza di coerenza e di equilibrio nel dosaggio dei singoli elementi che ha generato quel fenomeno tutto italiano della burocrazia debordante, che prospera sulla scricchiolante e a volte confusa attribuzione di competenze fra stato centrale ed enti locali. Tale contesto ha spinto la Cna a dare vita all’Osservatorio burocrazia. Uno strumento per misurare e pesare come e quanto la P.a. e la burocrazia incidono sulle attività economiche, analizzando e indagando ogni anno un ambito specifico così da offrire al decisore politico e all’opinione pubblica una fotografia reale sulle criticità e le possibili correzioni.
Da questo lavoro certosino emerge uno spaccato preoccupante. Ad esempio per avviare l’attività di autoriparatore occorre spendere in burocrazia oltre 18 mila euro che si traducono in 86 adempimenti che chiamano in causa 30 enti diversi da contattare fino a 48 volte. Ad aggravare il quadro quei numeri inquietanti variano sull’intera penisola. Emblematico il caso dello Sportello unico per le attività produttive (Suap). Per le pratiche come l’Autorizzazione unica ambientale, i Suap dovrebbero essere l’unica interfaccia tra imprese e P.a.. Nella realtà invece l’impresa continua a rivolgersi a una pletora di enti e istituzioni, Arpa, regione, provincia, Asl.
La conferma che la digitalizzazione è zoppa senza l’interoperabilità delle banche dati pubbliche, al massimo risulta un’inutile informatizzazione di documenti. Nell’èra della tecnologia connessa è quantomeno uno spreco di risorse. La mancanza di uniformità di norme e procedure impatta negativamente sulla relazione stretta che esiste tra digitalizzazione e sostenibilità. È facile immaginare la grande utilità di un catasto nazionale degli impianti termici nell’ottica del miglioramento dell’efficienza energetica. Al contrario assistiamo a un patchwork di piattaforme regionali senza alcuna possibilità di dialogo e interazione. La digitalizzazione rimane poco più di una aspirazione anche sugli appalti pubblici.
Il nostro Osservatorio ha rilevato che il 30 per cento delle procedure di gara si svolge ancora in modalità cartacea, le procedure delle stazioni appaltanti non presentano standard comuni obbligando il sistema delle imprese a districarsi in un ginepraio di norme, modulistica che variano anche tra piccoli comuni confinanti. Questa breve panoramica evidenzia la vasta zona d’ombra che accompagna dalla fine degli anni 80 il confronto politico su quale debba essere il livello di federalismo. Un dibattito storicamente confinato all’architettura giuridica, alla ricerca di equilibri e compromessi tra le forze politiche, sottoposto alle mutevoli variabili del consenso.
Un processo che ha trascurato l’essenziale riferimento nei confronti dei cittadini e delle imprese, ha ignorato la necessità di osservare e misurare gli effetti concreti ma soprattutto incurante dei riflessi sull’apparato burocratico. Se il federalismo sul piano istituzionale è ancora un’opera incompleta, a livello economico e normativo è da tempo un ecosistema consolidato, anche se disordinato. Le imprese devono fare i conti con una P.a. che spesso confonde l’autonomia con l’anarchia, che opera non come una parte del sistema ma come istituzione a sé. Il paradosso è che le nostre imprese devono affrontare il mercato globale mentre in Italia sono costrette a operare su micromercati di dimensione regionale per effetto della progressiva polverizzazione di norme e procedure e della frattura tra centro e periferia.
Dario Costantini
presidente Cna
Otello Gregorini
segretario generale Cna