il tavolo ministeriale
Il governo alle prese col crac Eurovita e i punti in comune con Svb
La compagnia assicurativa che sta per essere messa in amministrazione straordinaria e le banche colpite dalla crisi hanno almeno un punto di contatto: la gestione sbilanciata degli investimenti che non ha retto alla prova dell’aumento dei tassi d’interesse
Non c’è periodo peggiore di questo per mettere in amministrazione straordinaria una compagnia assicurativa come Eurovita, che al suo attivo ha oltre 413 mila polizze vita per un valore di 15 miliardi e oltre 350 mila clienti: privati cittadini che nelle ultime settimane si sono visti congelare i riscatti. Ma è ciò che sta per fare il ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit) guidato da Adolfo Urso ed è la prima volta che si verifica una situazione simile nel nostro paese. L’Ivass, l’autorità che vigila sulle assicurazioni, ha infatti avanzato al Mimit la richiesta di amministrazione straordinaria per Eurovita avendo constatato l’impossibilità di mettere in atto un salvataggio di “sistema” entro il termine previsto del 31 marzo.
Così negli uffici del ministro Urso si sta lavorando per emettere al massimo per venerdì il provvedimento, che comporta lo scioglimento degli organi societari e la nomina dei commissari, i quali probabilmente torneranno alla carica con i big delle assicurazioni – in primis Generali, Unipol e Intesa Sanpaolo – per verificare se per caso hanno cambiato idea rispetto alla decisione di chiamarsi fuori dal salvataggio della compagnia in un periodo di timori per la stabilità finanziaria. Quand’è scoppiato il caso Eurovita, circa un mese e mezzo fa, infatti, non c’era stato il crac delle banche californiane né quello di Credit Suisse e nulla faceva presagire anche solo la prospettiva di una crisi di fiducia nel settore del credito in Europa.
Non è un caso che oltre al ministero di Urso, al tavolo che dovrà accompagnare Eurovita su un nuovo cammino partecipa anche il capo del Mef, Giancarlo Giorgetti. Mai si dica, questo è un po’ il ragionamento che si fa nelle stanze di via XX Settembre, che mentre lo sguardo è rivolto alla solidità delle banche, una potenziale crisi possa arrivare dal mondo assicurativo con effetti a cascata sul sistema finanziario. Anche Moody’s lo ha sottolineato qualche giorno fa: “Il caso Eurovita sta aumentando il rischio reputazione dei partner bancari che quei prodotti li hanno distribuiti”. Si sta parlando di nomi di primo piano del panorama nazionale, come Fineco e Fideuram, e di realtà più regionali quali Credito Emiliano e Sparkasse (2.200 tra agenzie, sportelli e broker concentrati soprattutto nel nord Italia), i quali potrebbero in qualche modo partecipare a una ristrutturazione che scongiuri il panico tra i sottoscrittori di polizze (si è fatto anche il nome di Poste italiane).
Per carità, la vicenda della compagnia controllata dal fondo Cinven, che ha fatto business in Italia salvo poi tirarsi indietro di fronte alla necessità di un aumento di capitale, ha poco a che vedere con quelle di Svb e di Credit Suisse. Sono realtà molto diverse che operano in settori distinti. Ma un punto in comune ce l’hanno: la gestione sbilanciata degli investimenti che non ha retto alla prova dell’aumento dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali. Nel caso della banca californiana, che impiegava il denaro depositato dalle start up della Silicon Valley, il portafoglio titoli era per la maggior parte investito in treasury americani, mentre nel caso di Eurovita, che investe i risparmi degli italiani, è emersa una concentrazione su titoli di debito europei con il paradosso che a generare le minusvalenze che hanno eroso gli indici di solvibilità di Eurovita sono state le obbligazioni francesi e tedesche, perché quelle tricolore (i Btp) godevano delle opportune coperture dai rischi. Comunque sia, a livello patrimoniale si è materializzato un “buco” che a fine gennaio era stato quantificato dall’Ivass in circa 250 milioni, ma che è salito a 400 milioni di cui solo 100 milioni sono stati coperti dal fondo britannico Cinven, che per la restante parte se ne è lavato le mani dando ragione a quanti hanno sollevato dubbi rispetto al fatto che un fondo di private equity possa acquisire e gestire attività vigilate che coinvolgono il pubblico risparmio.
E’ proprio questo l’aspetto che deve avere irritato di più un gruppo come Generali, al cui diniego a partecipare al salvataggio di Eurovita si sono poi allineate le altre compagnie pur nella consapevolezza che una crisi reputazionale potrebbe colpire tutto il settore delle polizze. Interpellato sul tema il ceo del Leone, Philippe Donnet, ha risposto: “Facciamo un mestiere che non è quello di Eurovita ed è di proporre soluzioni molto sicure di protezione ai nostri clienti attraverso una rete di distribuzione molto professionale”. Era il 14 marzo. A quanto risulta, Donnet non ha cambiato idea nonostante le turbolenze finanziarie delle due ultime settimane.