l'analisi
Il governo approva il ddl Concorrenza, ma di concorrenza ce n'è poca
Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera alla norma: i contenuti si possono riassumere in poche righe e tra questi non c'è nulla di particolarmente incisivo. La sensazione è che il provvedimento celi una povertà di idee prima ancora che una mancanza di coraggio
Ieri il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al disegno di legge per la Concorrenza per l’anno 2023. Dal punto di vista formale si tratta di un passo necessario a rispettare una milestone del Pnrr. Visti i ritardi del Piano, inclusi i provvedimenti attuativi della precedente legge per la Concorrenza ancora inevasi, Giorgia Meloni doveva necessariamente dare un segnale a Bruxelles. Dal punto di vista della sostanza, però, il ddl appare molto leggero, forse persino più di quanto fosse lecito attendersi.
Se le bozze circolate nel primo pomeriggio di ieri sono affidabili, si tratta di un pacchetto di una decina di articoli, nessuno dei quali particolarmente incisivo. Beninteso, si tratta perlopiù di misure utili a migliorare la situazione negli ambiti in cui intervengono, anche se non sempre è chiaro il nesso con la concorrenza. Per esempio, garantire sollecita approvazione ai piani di sviluppo della rete elettrica nazionale – per evitare che la realtà scavalchi le ceralacche dei ministeri – è senza dubbio un proposito condivisibile. Così come costituisce un importante passo avanti consentire ai consumatori di condividere con terzi i dati storici sui prelievi di energia elettrica e gas per generare preventivi “reali”. E non c’è ragione di opporsi all’introduzione di un quadro moderno di regolamentazione del teleriscaldamento o alle agevolazioni per elettrificare le banchine dei porti.
Le preoccupazioni della Commissione europea sulle mancate gare per le aree mercatali trovano una risposta parziale e deludente: lo stesso articolo che fissa il principio della procedura a evidenza pubblica dispone di fatto una proroga di 12 anni. Poi ci sono alcuni chiarimenti o semplificazioni in materia di diritto della concorrenza e l’attuazione di alcuni aspetti del regolamento europeo sui mercati digitali.
Il fatto stesso che i contenuti dell’intero ddl si possano riassumere, senza particolari rinunce o sacrifici, in un semplice paragrafo fa capire quali sono i limiti. Da un lato, esso si sforza di volare radente al terreno e apportare modesti aggiustamenti normativi con l’unico obiettivo di dichiarare assolto un adempimento evidentemente sgradito. Dall’altro lato, un disegno di legge così scarno può puntare a un’approvazione a tempi di record da parte delle Camere, ma potrebbe anche finire per incagliarsi nella guerra di emendamenti di quanti vi vedranno un veicolo da appesantire con ulteriori misure più o meno pertinenti.
A voler essere ottimisti, si potrebbe argomentare che proprio la natura annuale del ddl dovrebbe smorzare gli entusiasmi: il suo obiettivo, sia nella prospettiva del Pnrr sia in quella del legislatore che nel 2009 ne ha introdotto l’obbligo, non era certo quello di fare la rivoluzione, ma di procedere in modo sistematico a manovre di manutenzione del profilo pro-concorrenziale dell’ordinamento. Né aiuta l’atteggiamento dell’Autorità garante (Antitrust), che negli ultimi anni non si è distinta per capacità propositiva. Basti guardare l’ultima segnalazione, inviata al governo il 22 marzo 2022: appena dodici paginette, con suggerimenti (assai condivisibili, peraltro) nei soli settori energetico e idrico.
Le ragioni dell’ottimismo finiscono qui. La sensazione è che il ddl celi una povertà di idee prima e più che mancanza di coraggio. Del resto, il pacchetto è approvato contestualmente al tentativo luddista – e, tra l’altro, spuntato – di sbarrare la strada alla carne sintetica. Come si può pensare di agire seriamente sulla concorrenza, se si vuole impedire ai consumatori addirittura di scegliere cosa mangiare per cena?
Il problema che questo ddl fa emergere, insomma, non è tanto relativo ai suoi contenuti ma all’atteggiamento che l’esecutivo e la maggioranza hanno verso la sovranità del consumatori e della libertà delle imprese di scegliere quali beni o servizi produrre e come farlo. In altre parole, il governo sembra vedere la concorrenza come un mero flag da mettere sui questionari europei relativi al Pnrr, ma la questione è molto più complicata e rischia addirittura di rivolgersi contro l’Italia se la Commissione europea avrà la sensazione di essere presa in giro. Eppure, non si può obbligare un governo a perseguire obiettivi di politica economica in cui non crede. La domanda, quindi, non è tanto se i contenuti del ddl presentato ieri siano adeguati, ma quali finalità Palazzo Chigi intende perseguire.