modesta proposta
Selezionare le opere salva Pil. Ecco un'exit strategy per il Pnrr
Il governo ha una sola reale possibilità per superare gli errori ereditati: procedere con i progetti che hanno reale capacità di incidere sulla creazione di ricchezza e rinunciare agli altri. Serve un accordo con la Commissione europea
E’ un film già visto. Gli allarmi, prima sporadici, diventano poi ripetuti. I ritardi cominciano a manifestarsi per diventare poi conclamati. Le amministrazioni pubbliche – a tutti i livelli di governo – lamentano la loro debolezza strategica e gestionale e reclamano risorse sempre maggiori. Le amministrazioni pubbliche meridionali, in particolare – pur avendo alle spalle venticinque anni di politiche di coesione sulla cosiddetta capacity building (difficile non scoppiare a ridere a questo punto!) – riconoscono la loro incapacità di progettare e governare processi che non siano meno che elementari. L’incubo del mancato rispetto delle scadenze – e con esso della eventuale forzata rinuncia alle risorse a esse connesse – si materializza. Gli allarmi si moltiplicano così come le richieste di deroghe, proroghe, dispense e dilazioni.
L’impegno delle amministrazioni pubbliche si concentra, a questo punto, in una sola direzione – l’utilizzo, a qualunque costo, delle risorse disponibili – e si traduce in una ansimante e concitata corsa contro il tempo. Progetti improponibili diventano inaspettatamente possibili perché pronti per l’uso. Obiettivi accantonati riemergono improvvisamente dall’oscurità, consentendo ai loro proponenti di vivere una vita nuova e inattesa. Il risultato è molto spesso ottenuto. Ogni somma disponibile trova più o meno miracolosamente la sua destinazione. Lo spettro della perdita delle risorse si allontana. Lo spreco, però, è assicurato. Questa sequenza di eventi – che descrive il nostro passato prossimo e che sembrerebbe anticipare (spero di sbagliare) il nostro futuro prossimo – era scritta nelle scelte del 2020 relative al Pnrr e nella irresponsabile e sconsiderata decisione del governo dell’epoca di raccattare ogni risorsa disponibile – unico fra i principali paesi europei – lasciando immaginare agli italiani che si trattasse di risorse provenienti dall’albero degli zecchini d’oro di Pinocchio che non a caso si trovava nella città di Acchiappacitrulli. Ed è una sequenza di eventi che è stata ribadita dalla improvvida decisione del governo entrato in carica successivamente di non ridiscutere una scelta visibilmente tanto irragionevole quanto pericolosa.
Ora – e mi rendo conto di avanzare una ipotesi temeraria – il governo che ha ereditato questa sequenza di errori ha davanti a sé una sola reale possibilità: d’intesa con la Commissione europea, selezionare ordinatamente i progetti che hanno una reale possibilità di incidere sulla capacità di crescita del paese e che hanno una concreta probabilità di vedere la luce nei tempi previsti e solo quelli, e rinunciare agli altri (e alle relative risorse). Il punto di fondo, infatti, è che le risorse del Pnrr andranno – sia pure in forme diverse e a condizioni di favore – restituite. E’ imperativo, di conseguenza, che non finiscano anch’esse nella fornace dei fondi di coesione. E’ imperativo che – fino all’ultimo centesimo – contribuiscano a portare il tasso di crescita potenziale del prodotto italiano ai livelli degli altri grandi paesi europei.
E’ questo il vero obiettivo e non già l’utilizzo purchessia dei fondi stessi. Ed è un obiettivo da cui siamo e, secondo la Commissione europea, potremmo essere nell’immediato futuro ancora lontani. Negli ultimi vent’anni, la distanza in termini di crescita potenziale fra l’Italia e l’Eurozona si è aggirata intorno al punto percentuale (più o meno la distanza rispetto all’Ue). Per il prossimo biennio la Commissione prevede che rimanga ancora significativa e nell’ordine del mezzo punto percentuale, se non superiore. Se i ritmi di crescita rimanessero questi faremmo fatica a sopportare il fardello del debito che le scelte del 2020 ci hanno scaricato addosso. E finiremmo per barcollare a ogni stormir di fronde. In fondo, se si voleva una occasione per segnalare all’Europa che l’Italia non è quella di sempre, questa sembra essere servita su un piatto d’argento. Facile a dirsi, è vero, ma forse meno difficile a farsi di quanto sembri.