poveri e paradossi
L'inflazione colpisce di più le fasce più deboli, ma queste chiedono politiche inflattive
Le forze populiste sono quelle più leste a chiedere politiche economiche espansive. Che però affliggono proprio i loro elettori. Le ragioni del cortocircuito
Il progressivo aumento del tasso di inflazione, in atto dalla seconda metà del 2021, pone un problema redistributivo che merita di essere discusso. Partiamo dai fatti. Il think tank Bruegel, tra gli altri, ha mostrato che l’aumento dei prezzi in corso è più accentuato per le famiglie a basso reddito, poiché queste solitamente devolvono una quota di spesa maggiore per alcune categorie di beni e servizi per i quali i prezzi sono cresciuti di più (per esempio: consumi alimentari ed energetici). In Italia, nella media dell’ultimo anno, la differenza tra l’inflazione per una famiglia a basso reddito e quella per una famiglia ad alto reddito è stata superiore a cinque punti percentuali, un dato davvero ragguardevole. Le famiglie a basso reddito, inoltre, hanno minori possibilità di difendersi dall’inflazione elevata: per loro è più difficile comprimere il tasso di risparmio (già contenuto), liquidare attività finanziarie (poche o nulle) oppure ridurre la qualità dei beni e servizi consumati (già bassa).
Questi semplici dati mostrano quindi un volto dell’inflazione – quello di un’imposta regressiva – di cui si dibatte troppo poco. Una prima considerazione è che gli aiuti contro il caro-energia destinati alle famiglie a basso reddito vanno pertanto nella direzione giusta. Le analisi svolte sull’Italia hanno anche mostrato l’efficacia di queste misure nel contrastare l’iniquità dell’inflazione. Si tratta però di misure che devono essere rigorosamente temporanee (e percepite come tali da famiglie e imprese), sia per non offuscare il segnale dei prezzi e non distorcere quindi gli incentivi, sia per ragioni di sostenibilità di finanza pubblica.
Ma c’è una seconda considerazione, più generale, che parte dalle questioni redistributive e arriva al (cattivo) funzionamento di domanda e offerta di politiche economiche. Come avviene anche oggi con l’inflazione, negli ultimi anni le fasce più deboli della popolazione hanno espresso una comprensibile domanda di protezione di fronte ai diversi choc macroeconomici che si sono via via succeduti. Dal canto loro, alcune forze politiche, spesso di stampo populista, sono state più leste di altre nel cogliere questa domanda alla quale hanno risposto supportando politiche fiscali e monetarie molto espansive. Queste politiche, a loro volta, hanno creato una forte pressione dal lato della domanda aggregata che, unitamente ai noti choc avversi dal lato dell’offerta (ostruzione delle catene globali del valore legata al Covid e aumento dei prezzi dell’energia dovuto all’invasione russa dell’Ucraina), ha spinto l’inflazione, risultata più alta proprio per le fasce più deboli. Queste ultime, in un sistema democratico ben funzionante, dovrebbero quindi smettere di chiedere politiche a loro avverse. Ma paradossalmente così non è. Si tratta di un cortocircuito preoccupante, di cui beneficia l’offerta politica populista. Quello dell’inflazione, inoltre, non è un caso isolato.
Per esempio, alcuni studi hanno mostrato che sono stati proprio i territori che hanno sostenuto più convintamente la proposta politica protezionistica dell’“America first” a pagare il prezzo più alto della guerra commerciale avviata dall’amministrazione Trump. Ancora: in Europa, le regioni meno sviluppate chiedono con forza politiche di riequilibrio territoriale (si pensi al nostro Pnrr che destina ben il 40 per cento delle risorse al Mezzogiorno che vale il 22 per cento dell’economia nazionale) ma queste politiche accrescono le disuguaglianze di reddito all’interno delle aree in ritardo di sviluppo. E’ difficile capire le cause di questo cortocircuito. Vengono in mente, a tentoni, l’oggettiva complessità dei nessi causali nelle economie moderne, l’insoddisfacente mediazione culturale svolta dai mass media, la scarsa conoscenza dell’economia da parte dei cittadini. Ma è una lista senz’altro provvisoria, da approfondire. In ogni caso, la riparazione di questo cortocircuito, pur difficile, non è eludibile per chi ha a cuore qualità delle politiche economiche e obiettivi redistributivi non di facciata.