La scelta dei vertici
Una guida poco verde. La fronda dei fondi esteri nel cda Enel
L'hedge fund Covalis ha presentato una lista alternativa, in polemica con la scelta governativa del tandem Scaroni-Cattaneo. Si potrebbe arrivare in assemblea a un insolito testa a testa: sullo sfondo resta l'incognita della svolta green
Quello che sta succedendo sul rinnovo dei vertici dell’Enel è probabilmente un segnale del fatto che sul percorso verso la transizione energetica non sono ammessi passi indietro dal mercato. Anche quando ragioni di buon senso suggerirebbero un più graduale allontanamento dalle fonti fossili per dare il tempo a quelle rinnovabili di prenderne il posto senza impattare sulla crescita economica, gli investitori finanziari di questo settore – che sono soprattutto internazionali – non sono disponibili a rischiare un cambiamento. Non che il tandem Cattaneo-Scaroni suggerisca di per sé una deviazione dall’indirizzo strategico impresso in quasi dieci anni dall’ex ad Francesco Starace, ma in qualche modo ci deve essere la percezione che per la società italiana partecipata al 23,6 per cento dal Tesoro, ma con una percentuale di investitori istituzionali del 56,7 per cento (di cui la maggior parte è estera) possa cominciare un’epoca un po’ meno green. E questo, per come ragionano i fondi d’investimento, rappresenta un rischio per i loro portafogli in cui la partecipazione in Enel viene considerata un asset solido e con l’attesa di rendimenti in crescita a giudicare dagli ultimi quattro “buy” lanciati da inizio anno da quattro banche d’affari internazionali: Hsbc, Credit Suisse, Barclays, Goldman Sachs.
Enel è, dunque, una società appetibile per gli investitori esteri, ma ha anche un indebitamento che supera i 60 miliardi – più di quanto capitalizzi in Borsa – oggi collocato sui mercati finanziari attraverso strumenti legati alla decarbonizzazione. Questa è stata una delle ragioni che hanno spinto l’hedge fund anglosassone Covalis a lanciare una sfida senza precedenti al governo italiano su chi guiderà Enel nei prossimi anni presentando una propria lista alternativa di candidati al consiglio di amministrazione e accusando addirittura di “opacità” il metodo usato per proporre le candidature di Scaroni e Cattaneo. Gli azionisti di minoranza di solito non contestano le proposte dell’esecutivo e ottengono tre posti su nove nel cda grazie alla lista Assogestioni che si pone come integrativa, non come alternativa. Questa volta, però, all’assemblea degli azionisti del 10 maggio le liste di amministratori non saranno due ma tre perché ci sarà anche quella di Covalis che punta ad attrarre i voti anche di altri investitori poco soddisfatti delle scelte del governo italiano. Se questa lista dovesse crescere in termini di consenso, si potrebbe arrivare in assemblea a un insolito testa a testa tra due candidati alla presidenza: il manager Paolo Scaroni (che è già stato alla guida di Enel oltre che di Eni), candidato da Meloni, e il banchiere Marco Mazzucchelli, proposto dai fondi ribelli (Mazzucchelli è il banchiere che portò in Borsa Mps e ha lavorato in Sanpaolo Imi, Credit Suisse, Rbs e Julius Baer).
La sfida “per l’indipendenza” lanciata da Covalis è, dunque, tutta qua, poiché nella sua lista non si fanno nomi di amministratori delegati alternativi a quello di Cattaneo, che ieri ha incassato l’apprezzamento della banca d’investimento americana Jefferies. Dunque, il problema sarebbe rappresentato da Scaroni, anche se non si capisce su quali basi sia fondata una tale diffidenza, se non sulle sue relazioni trascorse con Mosca in un’epoca in cui vari manager europei ne avevano. E comunque non tutti sul mercato sono così scettici: gli analisti di Intesa Sanpaolo, per esempio, hanno giudicato positivamente la scelta del governo perché il nuovo management è “capace” e molto probabilmente “confermerà la politica di dividendi del gruppo” pur sottolineando che l’attenzione dovrà restare concentrata sulla riduzione dell’indebitamento. “Siamo fiduciosi che il nuovo team di gestione adotterà un approccio trasparente e market-friendly – spiegano gli esperti di Intesa Sanpaolo – rafforzando ulteriormente l’affidabilità di Enel acquisita nel tempo. Escludiamo una possibile fusione tra Enel ed Eni, come recentemente riportato da alcuni organi di stampa perché riteniamo che una fusione potrebbe interrompere la crescita interessante di prospettive che vediamo nelle società e ritardare il loro impegno nella trasformazione verde e nella decarbonizzazione”. In definitiva, tutti chiedono a Enel che resti leader nella transizione green. E si capisce anche perché: nel 2021 gli investimenti globali in questo settore hanno toccato il record di 755 miliardi di dollari e le utilities europee sono tra i principali target. Secondo un’analisi di Bloomberg, ai primi posti ci sono Eon, Iberdorola e Edf su un totale di 98 grandi compagnie elettriche esaminate su scala globale. Enel è la prima società italiana e figura al settimo posto della graduatoria complessiva grazie al suo crescente impegno sul fronte delle rinnovabili. Impegno sul quale il mercato ora pretende garanzie.