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l'analisi

Tutte le balle sui salari italiani

Claudio Cerasa

Gli stipendi nel nostro paese sono un problema, vero, ma i salari meno competitivi non sono quelli più bassi: sono quelli più alti. Guida a un guaio rimosso da politica e sindacati, con numeri e senza slogan

E se vi dicessero che tutto quello che vi hanno raccontato finora sui salari fosse semplicemente falso? La questione è ovviamente delicata e non c’è esponente politico che nelle ultime settimane non sia intervenuto per esprimere la propria posizione su un punto semplice da delineare. L’Italia, si dice, ha dei salari  terribilmente bassi e una classe politica con la testa sulle spalle non può non ragionare su quale sia l’approccio giusto da seguire per aiutare i lavoratori ad avere salari più alti.

 

Il centrosinistra, tutto unito, considera prioritaria l’adozione di un salario minimo. Il centrodestra, anche qui in modo unitario, considera prioritaria una riduzione del cuneo fiscale sul lavoro. Quasi nessuno, ovviamente, parla del fatto che se i salari in Italia sono bassi la colpa è legata prevalentemente alla bassa produttività del paese (dove la produttività è alta i salari di solito sono un po’ più alti, dove la produttività è bassa i salari di solito sono un po più bassi). Ma il dato interessante emerso dall’ultimo rapporto presentato dall’Eurostat sul tema salari (“Wages and labour costs”, 8 marzo 2023) offre uno spunto di riflessione nuovo destinato a inquadrare il tema dei salari da un altro punto di vista: e se il problema dei salari bassi in Italia fosse legato a quelli alti? E se, per essere ancora più chiari, le medie dei salari italiani fossero basse a causa dei salari alti che in Italia sono più bassi del resto dell’Europa? I dati relativi ai problemi dei salari italiani ormai li conosciamo a memoria e ovviamente esistono. E’ un fatto che la  retribuzione oraria mediana è pari a 12,6 euro lordi (significa che metà dei lavoratori guadagna meno di quella cifra e metà ne guadagna di più).

 

E’ un fatto che questo dato (che pone l’Italia all’undicesimo posto nell’Ue) sia più basso del valore europeo (13,2 euro lordi). Così come è un fatto che la paga oraria media lorda, espressa a parità di potere d’acquisto, nel 2021 in Italia sia stata di 15,55 euro contro il 16,9 dell’area euro, come ha recentemente ricordato il sito Pagella Politica. Così come è un fatto che secondo i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), utilizzando come base i prezzi del 2020, negli ultimi 30 anni, i salari reali medi degli italiani (dunque tenendo in considerazione l’impatto dell’inflazione) sono diminuiti di più di mille euro: il 3,6 per cento, passando da 28.800 euro a 27.800 (negli altri principali paesi europei è successo il contrario: in Spagna i salari medi sono aumentati del 6 per cento, in Francia del 31 per cento e in Germania del 34). Ma accanto a questi fatti noti ce ne sono altri che meritano di essere descritti e che ci offrono una panoramica sui salari italiani meno scontata e meno convenzionale. Partiamo? Partiamo.

 

Scrive l’Eurostat nel suo ultimo rapporto che la percentuale di lavoratori a basso reddito varia notevolmente tra gli stati membri. La quota di dipendenti dell’Unione europea a basso reddito è pari al 15,3 per cento. La quota più alta di lavoratori a basso reddito si trova in Lettonia (23,5 per cento). La più bassa si trova in Svezia (3,6 per cento). E all’interno di questa forchetta vi è una serie di paesi che non si allontana troppo dal dato della Svezia (3,6 per cento) e che si trova come percentuale di dipendenti a basso reddito ben al di sotto della media euro. Il Portogallo ha il 3,4 per cento di dipendenti a basso reddito. La Finlandia il 5 per cento. La Francia l’8,6 . La Danimarca l’8,7. E l’Italia? L’8,5 per cento. Dunque: c’è un’emergenza di dipendenti che guadagnano salari bassi in Italia rispetto al resto dell’Europa? I numeri sono quelli che avete letto.

 

Altri numeri interessanti, che offrono elementi utili di riflessione anche per il sindacato, convinto che in Italia vi siano troppi ricchi che guadagnano troppo e troppi non ricchi che guadagnano poco, sono quelli che arrivano da un’altra statistica: la disparità tra il dieci per cento dei salari più alti e il dieci per cento dei salari più bassi. Secondo questa statistica, riferita a quanti lavorano in imprese con almeno dieci dipendenti, le disparità più alte si registrano in Bulgaria, Lettonia e Romania (rapporto del 4,1). Mentre le disparità più basse si registrano in questi paesi. La Svezia (rapporto 2,1). La Finlandia (rapporto 2,4). L’Italia e il Belgio (entrambi con un rapporto pari a 2,6). E poi la Danimarca (rapporto pari al 2,7). E la Francia (rapporto pari al 2,9). Dunque anche qui altro tabù affrontato: davvero i salari alti in Italia sono così mostruosamente alti rispetto ai salari più bassi? I numeri sono quelli che avete appena letto e dicono l’opposto.

 

Dai dati Eurostat poi emerge un altro dato. La differenza di salario tra i livelli d’istruzione più bassi (primaria e/o secondaria inferiore) e più alti (terziaria e superiore) in Italia si colloca tra i 27.806 e i 44.104 euro annui. In Germania tra i 27.005 e i 68.144. In Francia tra 28.115 e 47.696 euro. Nell’area euro tra 25.518 e 51.200. Significa che, rispetto a coloro che sono istruiti, a parità di livello le retribuzioni “basse” sono più alte della media europea, mentre quelle “alte” sono più basse. Dunque anche qui altro tabù affrontato: a parità di istruzione, i salari italiani sono più bassi rispetto a quelli europei? Anche qui i numeri sono quelli che avete appena letto. E per quanto riguarda invece i salari alti? Il sito “Itinerari previdenziali” ha notato un altro dato sempre offerto dall’Eurostat. Un dato che dice questo: “La differenza tra salari alti e bassi è tra le più contenute in Europa – i salari “bassi”, ossia inferiori a 2/3 del salario mediano, sono il 3,7 per cento del totale, uno dei dati più bassi dell’Ue – mentre per quanto riguarda i salari  alti, ossia superiori alla mediana di una volta e mezzo, sono il 19 per cento, valore più ridotto dopo quello fatto registrare dalla Germania (18,7 per cento)”. A questo dato, e poi la finiamo con i numeri e arriviamo alle conclusioni, ne va aggiunto un altro ancora. Il dato relativo al “differenziale di retribuzione per livello d’istruzione”. In altre parole: quanto guadagna in media chi ha un’istruzione bassa (primaria e secondaria inferiore) e quanto guadagna in media chi ha un’istruzione alta (terziaria e superiore).

 

Ogni partito è libero naturalmente di proporre le soluzioni che ritiene più utili per intervenire sul tema dei salari ma l’esperienza italiana rapportata a quella europea offre un quadro diverso rispetto a come questo viene spesso descritto nei talk-show. L’Italia ha un grosso problema con i salari alti, più che con i salari bassi, oltre ad avere ancora un problema oggettivo con i contratti a tempo (vedi editoriale) e con il tabù della produttività. Ma ha anche un problema legato a un altro versante. Ha una prontezza inferiore rispetto a molti paesi europei nell’intervenire sui salari medi non solo per questioni legate al braccino corto di alcuni imprenditori ma perché il modello di contrattazione prevalente in Italia fatica a essere costruito caso per caso, azienda per azienda, ed è dunque spesso meno pronto a intervenire quando vi sono emergenze come quelle legate all’inflazione, ed è costruito unicamente per appiattire il più possibile i livelli retributivi, tendendo dunque a far prevalere, come ha ricordato spesso sul nostro giornale il giuslavorista Alberto Brambilla, l’egualitarismo sul merito. Più fatti, meno chiacchiere. Per migliorare i salari italiani più che dagli slogan è meglio partire dai numeri.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.