La lettera
Per aumentare gli stipendi occorre dare più libertà ai privati, ci dice la Cisl
"I salari italiani non crescono perché negli ultimi decenni non è cresciuta adeguatamente l’economia del nostro paese", scrive il segretario generale del sindacato
Caro Cerasa, intervengo sul suo editoriale dal titolo “Le balle sui salari italiani” per rappresentarle il punto di vista della Cisl su quanto da Lei scritto e ampiamente documentato. Mi sento in dovere di replicare alle sue argomentazioni partendo da una mera constatazione: i salari italiani sono bassi perché ad essere basso è tutto l’impianto salariale. Minimi salariali innalzati artificialmente, senza risolvere il problema strutturale che affligge la crescita delle retribuzioni a tutti i livelli delle scale parametrali, servirebbero solo a restringere la forchetta tra minimi e massimi, che invece avrebbe bisogno di essere allargata, facendo crescere il valore delle carriere, delle professionalità, delle esperienze. Insistere solo sui salari minimi, senza capire che la compressione della dinamica espansiva che i salari devono avere nell’arco della vita di un lavoratore porta soltanto a peggiorare la qualità del lavoro e delle prospettive di medio lungo termine dei lavoratori stessi, condannerebbe il nostro paese a vivere di lavori a basso valore aggiunto e a veder emigrare, come purtroppo già avviene, le professionalità migliori. Ma il lavoro italiano di tutto ha bisogno, tranne che di essere privato delle migliori professionalità.
Ai numeri che lei propone ne vorrei quindi aggiungere altri: quelli recentemente presentati da Inapp sulla qualità del lavoro e quelli leggermente più datati di un’analisi di Assolombarda, ancora attualissima, sulla produttività. Le due analisi ci rivelano come le medie imprese di questo Paese (da 50 a 249 dipendenti) siano le più vitali, le più innovative, quelle dove la qualità del lavoro è più elevata, spesso addirittura eccellente, e altrettanto la produttività, superiore in modo eclatante rispetto alle aziende del corrispettivo settore dimensionale di Germania, Francia e Spagna. E altresì ci rivelano come la produttività crolli, anche comparativamente ai Paesi citati, nel settore dimensionale delle micro-imprese, insieme alla qualità del lavoro. Peccato che le micro-imprese, al motto di “piccolo è bello”, siano il 95% del totale, una proporzione che non ha simili tra i Paesi con cui dovremmo concorrere.
E allora, alle Sue riflessioni, che condivido, aggiungo che se i salari italiani non crescono è perché negli ultimi decenni non è cresciuta adeguatamente l’economia del nostro paese. Quindici anni impiegati a cercare, senza ancora esserci riusciti, di ritornare ai valori del Pil del 2008, venticinque anni con tassi di incremento della produttività medi dello 0,4% non si contrastano ne’ con i salari minimi legali, che mangerebbero spazio alla contrattazione provocando effetti deleteri, né con misure improvvisare, che possono servire a tamponare le emergenze, ma non costituiscono una soluzione strutturale rispetto a salari che sono complessivamente troppo contenuti. Se vogliamo salari adeguati a tutti i livelli delle scale parametrali, se non vogliamo far scappare i nostri migliori talenti e se vogliamo mantenere il nostro ruolo nelle principali economie industriali, al di là delle scialuppe di salvataggio a cui siamo spesso costretti, dobbiamo mettere in mare una nave in grado di correggere la rotta di una politica industriale senza strategia, refrattaria a valorizzare la nostra capacità di eccellere e di creare valore, una impostazione nuova anche nella visione del medio-lungo periodo di investimenti pubblici e privati, di innovative relazioni sindacali.
La proposta di legge popolare realizzata dalla Cisl, che ieri è stata depositata alla Cassazione, per l’attuazione dell’art. 46 della nostra Costituzione, ha proprio questo obiettivo e parte dall’idea che la crescita, lo sviluppo economico e sociale, la sostenibilità non possano fare a meno della collaborazione attiva, articolata, costante, responsabile di tutti gli attori dell’economia e della società, a partire dai lavoratori ma anche dai cittadini-risparmiatori. Se è vero, come Lei dimostra nel suo articolo, che la mancata crescita salariale investe tutto il lavoro e non solo il lavoro povero e se altresì è vero che essa combacia con il mancato sviluppo della produttività e della qualità del lavoro italiano, allora io mi auguro di trovarla nostro alleato nel tentativo di costruire un’economia più partecipata e democratica, più attenta alla sostenibilità, alla trasparenza, alla legalità e insieme alla produttività ed alla stabilità dello sviluppo del nostro territorio e della comunità nazionale. Dobbiamo smettere di pretendere soluzioni facili a problemi complessi e la Cisl pensa che sia il momento di lavorare per fare quel passo avanti verso una democrazia economica realmente compiuta che i nostri costituenti a partire da Giulio Pastore avevano pronosticato come necessaria per la realizzazione di un modello efficiente e giusto di economia sociale di mercato.
Luigi Sbarra è segretario Generale Cisl.