Borse e politica
Si sta interrompendo il feeling tra i mercati e il governo Meloni?
Il timore che l’Europa stia aumentando il controllo sull’attuazione del Pnrr inizia a pesare sulle aspettative di crescita del paese. Da Goldman Sachs a Moody’s, gli allarmi sull'economia italiana e il peso del debito pubblico
Lo sblocco della terza rata del Pnrr è vicina, ha annunciato ieri il ministro Raffaele Fitto. Nonostante ciò il timore che l’Europa stia aumentando il controllo sull’attuazione del piano italiano inizia a pesare sulle aspettative di crescita del paese. Quest’aspetto è stato evidenziato dalla banca d’affari Goldman Sachs che nei giorni scorsi ha deciso di bocciare i Btp tricolori e promosso i Bonos spagnoli lanciando così un nuovo allarme sull’Italia il cui spread, prevede, salirà a 235 punti base entro quest’anno. Un allarme a cui è seguito quello dell’agenzia di rating Moody’s che ha minacciato un declassamento perché il debito è troppo alto a fronte di aspettative di crescita troppo basse (l’aggiornamento del giudizio è previsto per il 19 maggio). Se un downgrade dovesse arrivare, l’Italia diventerebbe l’unico paese monitorato da Moodys’ a perdere il livello di “investment grade” per i suoi titoli di stato e sebbene questo non creerebbe problemi agli acquisti della Bce perché i giudizi delle altre agenzie di rating sono più alti, avrebbe un impatto negativo sugli operatori privati che acquistano i bond nostrani. Forse sta cambiando qualcosa nella percezione che i mercati finanziari hanno avuto fino a oggi del governo Meloni, che per l’attenzione mostrata all’equilibrio dei conti pubblici si è conquistato una certa credibilità?
In effetti, lo spread è un po’ sotto pressione rispetto a qualche settimana fa (ieri ha superato i 190 punti base, con il rendimento dei decennali che superato la soglia del 4 per cento), ma per ora non si registra un ritorno del rischio Italia anche perché l’attenzione degli investitori è tutta concentrata sui possibili nuovi risvolti delle crisi bancarie americane, che sembrano tutt’altro che terminate. Gli analisti stanno diventando, però, più guardinghi. Quanto potrà resistere l’Italia in un contesto di tassi alti, inflazione elevata e bassa crescita? È la domanda che si pone Alessandro Tentori, capo degli investimenti di Axa IM Italia, osservando che se è vero che l’inflazione alleggerisce il rapporto debito-pil, aiutando i conti pubblici, è vero anche che impoverisce i cittadini. Insomma, l’Italia resta alle prese con i suoi storici problemi di bassa crescita e scarsa produttività in un momento in cui sull’effettivo contributo che il Pnrr darà al pil dell’Italia si addensano delle nubi. “Il nostro paese può resistere fino a quando la crescita nominale resta più alta dei tassi – osserva Tentori –. Nel 2012 l’Italia si è ritrovata in recessione e con tassi alti per la crisi di fiducia dei mercati e l’aumento verticale dello spread, anche se l’inflazione era bassa: il risultato fu una raffica di downgrade delle agenzie di rating e un lungo purgatorio. In questo momento, quindi, il carovita sta almeno in parte salvando i conti pubblici: sì, perché se oggi per esempio l’inflazione fosse a zero, la crescita si attestasse all’1 per cento, ma i rendimenti dei titoli di stato decennali restassero al 4 per cento, il rapporto debito-pil aumenterebbe di tre punti percentuali all’anno”.
Che l’Italia debba ridurre il suo debito pubblico lo ha ribadito anche il commissario europeo, Paolo Gentiloni, a margine della presentazione della proposta di riforma del Patto di stabilità. Per quanto sia stata stoppata la richiesta della Germania di norme più severe, la riforma delle regole fiscali, così com’è stata formulata, potrebbe comunque creare problemi all’Italia proprio perché l’impatto del Pnrr è già inglobato nel calcolo della crescita e dei parametri del bilancio pubblico. E si tratta di fondi che, per ammissione dello stesso governo Meloni, forse non si riusciranno a spendere tutti. In più alla prossima legge di bilancio servirà un aggiustamento fiscale di 23-26 miliardi mentre il Def, che è all’esame del Parlamento, mette sul patto per l’anno prossimo solo 5,7 miliardi per rifinanziare misure in scadenza che costano circa 20 di miliardi. Ci sono, insomma, decine di miliardi da trovare: un banco di prova che attende la prima manovra economica interamente a carico di questo esecutivo che, secondo l’economista Lorenzo Codogno manca di visione strategica per i prossimi quattro anni e la spinta alle riforme che mostra di avere non appare commisurata all’entità delle sfide dell’Italia. “Con il cambio di cavallo tra btp e bonos spagnoli, però, non sono d’accordo – aggiunge parlando con il Foglio –. Se proprio dobbiamo guardare ai titoli dei paesi periferici sembrano più allettanti quelli della Grecia che tra poco potrebbe avere uno spread più basso dell’Italia se le prospettive di upgrading si verificheranno con le prossime elezioni politiche da cui è probabile uscirà un governo stabile”.