Ansa

Che fare

Oltre il Patto di Stabilità. Miti da sfatare sulla credibilità futura dell'Italia

Oscar Giannino

Dalla ratifica immediata del Mes a una rapida e precisa richiesta di modifiche al Pnrr, fino alle riforme di sistema ad alto impatto sul Pil: solo con piani ambiziosi, e non con mille decreti semplificazioni, il paese potrà avere la forza di negoziare al tavolo europeo

All’annuncio dei 38 articoli della proposta di regolamento europeo venuta da Bruxelles sulla riforma del Patto di Stabilità Ue, la reazione mediatica ha corrisposto al classico luogo comune italico “ecco come l’Europa di obbligherà a tagliare risorse”. Risposta sbagliata, che rischia di incoraggiare altri errori della politica italiana. Invece, è il momento di parlarsi fuori dai denti. Su almeno tre punti: cosa dice la proposta, come stanno i nostri conti pubblici, cosa fare per avanzare alcune proposte nei pochi mesi in cui Parlamento e Consiglio Europeo dibatteranno intorno alla bozza di regolamento, che deve entrare in vigore a gennaio 2024.

 

La proposta della Commissione non prevede affatto per gli iperindebitati come l’Italia coercitive manovre fiscali ammazza-crescita. Il difetto è un altro: la penso come Lorenzo Bini Smaghi, c’è un enorme eccesso di discrezionalità di Bruxelles in tutto il nuovo meccanismo della definizione distinta per ogni Paese della “traiettoria tecnica” quadriennale di rientro della finanza pubblica verso il 3 per cento di deficit. Si era partiti dall’idea che il calcolo dell’output gap – essenziale per stabilire la “spesa corretta per il ciclo”, fondamento tecnico del precedente Patto di Stabilità – fosse troppo aleatorio, ma con le nuove regole la discrezionalità della Commissione, nel definire la traiettoria di ogni paese, nel trattare con i singoli governi, nel verificarne l’attuazione, nel valutarne le modifiche, diventa straordinariamente più elevata.

 

La Commissione propone un piano quadriennale per gli iperindebitati con una correzione fiscale di mezzo punto di pil l’anno. Francamente una bazzecola. Il punto è un altro: come Italia dobbiamo puntare all’articolo 13 della bozza, alla possibilità di traiettorie di rientro non di 4 ma di 7 anni, in cambio però di riforme strutturali indentificate con 6 criteri, a partire da una stima credibile di innalzamento del Pil potenziale dovuto alle riforme stesse. Guardiamo poi la proposta europea alla luce del recente Def del governo. Le ipotesi del Def sono già considerevolmente più “rigorose” dello schema europeo. Ma c’è un però: Commissione e Paesi Ue il Def lo hanno letto, ma vedono poi cose stridenti. Leggono di ministri e partiti di maggioranza che annunciano interventi per decine e decine di miliardi quando lo spazio concesso alla prossima legge di bilancio è di poco più di 5 miliardi in tutto. Leggono che nel Def la crescita attesa per i prossimi anni è minima, dal +1,5 per cento programmatico nel 2024 si riscende a poco più dell’1 per cento negli anni successivi. Leggono che nel Def non sono state incorporate le stime degli effetti degli investimenti Pnrr, perché non sappiamo se riusciremo a farli, né quali sì e quali no. Leggono che la spesa previdenziale è prevista in crescita fino al 17,3% del PIL nel 2035 e lì resta per almeno un decennio. E che alla luce di tutto questo il Mef ha infilato nel Def scenari che spiegano brutalmente che, se non invertiamo natalità, occupabilità e flusso immigrati, il nostro debito nel medio periodo può schizzare al 180per cento del Pil su su fino al 210 pr cento.

E allora, che fare? Nel prossimo mese, bisognerebbe rimediare ad alcuni errori  che non ci rendono credibili nell’Ue. Cominciando dalla ratifica immediata del Mes, restare l’unico Paese dell’eurozona che impedisce l’operatività di uno strumento comune che salva-Stati e salva-banche indispone tutti. Poi una rapida e precisa richiesta di modifiche al Pnrr: o trasformiamo in incentivi a investimenti delle imprese parte delle risorse che la Pa non riesce a spendere, oppure meglio rinunciare a una parte delle risorse PNRR prese a debito. E infine focalizzandoci su alcune riforme di sistema ad alto impatto sul Pil potenziale, per mirare sin da subito a un rientro settennale e non quadriennale del debito: una vera riforma dell’occupabilità che coinvolga fisco, contributi e intero sistema delle politiche attive, non bonus a tempo per questa o quella coorte di lavoratori; una riforma previdenziale che blocchi il furto ai giovani e fissi per i nuovi entranti nel lavoro il loro il passaggio immediato a un sistema a capitalizzazione che li esenti da finanziare per decenni il sistema a ripartizione per pagare ad altri pensioni che i giovani non avranno.

 

Tre o quattro riforme vere di grande impatto, non mille decreti semplificazioni che rimbalzano da anni. Solo con piani ambiziosi e credibili, si dà forza nei prossimi mesi nel tavolo europeo alle giustificatissime proteste di chi, come Giorgetti e tutte le imprese italiane, sottolinea che è un immenso autogol non prevedere nel nuovo Patto di Stabilità Ue un regime speciale per tutta l’enorme mole di investimenti necessari per la transizione digitale e green, la difesa europea e Industria 5.0.    
 

Di più su questi argomenti: