Banche, no panic
Che cosa insegna all'Europa il salvataggio americano di First Republic Bank
A due mesi dal crollo della Svb un'altra grande banca americana ha rischiato il crack. La reazione è stata più composta, ma preoccupa l'impatto sui mercati europei nel caso in cui Bce e Fed proseguano la stretta monetaria
A differenza del panico che si scatenò sui mercati a inizio marzo con il crac della Svb, la reazione al fallimento della First Repubblic, la quattordicesima in America per dimensione, ha provato a essere più composta. Se Wall Street ieri si è fatta prendere dal nervosismo è sembrato più per la minaccia di default sovrano fatta dal segretario di Stato, Janet Yellen, sulla questione del tetto del debito che per i timori di un contagio del sistema bancario mondiale. La capacità di reazione mostrata dal governo americano, che ha facilitato come mai prima d’oggi il salvataggio di un istituto in crisi da parte di un gruppo privato come Jp Morgan (in altri tempi l’acquisizione dei 100 miliardi di depositi sarebbe stata vietata per motivi di concorrenza), è stata sorprendente. Il presidente Joe Biden ha detto che tutti i depositanti e le imprese di First Republic saranno tutelate e che, invece, gli investitori perderanno. Ha aggiunto di avere chiesto al Congresso di inasprire le regole di vigilanza dando così l’impressione che si è chiusa la fase di deregulation e di stare lavorando per ristabilire la fiducia. E il ceo di Jp Morgan, Jamie Dimon, pur ammettendo di non avere la sfera di cristallo, ha assicurato che il sistema creditizio Usa “è stabile” e che questo capitolo, eccetto forse un’altra piccola banca che avrà bisogno di aiuto, può considerarsi chiuso. E in Europa? L’ufficio studi di Mediobanca ha detto di considerare la crisi in corso nelle banche regionali statunitensi come una combinazione della deregolamentazione del 2018 e del forte aumento dei tassi d’interesse, ma comunque come un “problema localizzato”. Mediobanca spiega che a differenza di precedenti crisi bancarie, dopo un solido controllo dello stato di salute sulla liquidità e dei rischi, di “non aver identificato alcune vulnerabilità evidente nelle banche dell’Ue”. Secondo un’altra società d’investimenti, Algebris, quella dell’amministrazione Usa è la soluzione più favorevole per il mercato tra le opzioni disponibili. “I depositanti verranno risarciti e le attività saranno trasferite a una grande banca. La garanzia sui depositi dovrebbe sostenere la stabilità del sistema, il che significa che i prestiti continueranno a rallentare, anche se è improbabile che lo stress bancario si estenda”.
Le considerazioni di questi operatori sono importanti per capire se ci possono essere turbolenze nella settimana in cui la Fed (oggi) e la Bce (giovedì) decideranno se e in quale misura proseguire la stretta monetaria. Per ora, la stabilità finanziaria non sembra in discussione, anche se è inevitabile che l’incremento dei tassi possa avere un impatto sulle attività finanziarie più fragili. Ma, ed è questo il punto, la maggior parte degli osservatori europei considera la crisi delle banche americane come idiosincratica e cioè molto legata a come questi istituti gestiscono le proprie attività finanziarie esponendole senza le dovute protezioni al crescente costo del denaro. La carenza di regole di vigilanza del sistema statunitense, che non segue le regole di Basilea sulla vigilanza, ha fatto il resto. Tutt’altro discorso, invece, è quale lezione si può trarre dal salvataggio di First Republic da parte di Jp Morgan, secondo uno schema che assomiglia un po’ a quello utilizzato per Credit Suisse acquisita dalla sua principale concorrente Ubs. In entrambi i casi, l’operazione è avvenuta per mano di un operatore privato ma sotto la regia delle autorità pubbliche. Nel caso di First Republic, l’azione congiunta del Federal deposit insurance corporation e di Jp Morgan tutela interamente i depositi dei clienti rendendo impossibile il verificarsi del bail in con il coinvolgimento dei correntisti. Quest’esperienza, più che suscitare timori per un effetto contagio, rischia di sollevare in Europa ancora più malumori per la mancata approvazione da parte dell’Italia della riforma del Mes, che serve proprio a rafforzare la capacità di intervento sui salvataggi bancari del Fondo di risoluzione unico.