Roberto Saviano

cosa non torna

Saviano demonizza la logica del profitto, grazie a cui si vive meglio e con meno povertà 

Carlo Stagnaro

Tutto ciò che lo scrittore toppa quando se la prende, senza alcun numero, con il profitto, la competizione e il merito. Nulla di ciò che lamenta, e per cui prova "orrore", trova riscontro nei dati
 

Roberto Saviano ha approfittato della ricorrenza del Primo maggio, Festa del lavoro, per dichiarare tutto il suo “orrore” per il profitto, la competizione, il merito, la precarietà, la disoccupazione, l’occupazione, la fatica. “C’è stato un tempo – ha scritto sui social – in cui esistevano organizzazioni politiche che volevano abbattere il lavoro, in cui gli intellettuali cantavano l’ozio e la pigrizia come condizioni uniche di libertà, in cui le menti credevano che la tecnologia avesse una sola direzione: liberare l’umanità dalla fatica e dal lavoro salariato”. Secondo lo scrittore, non è più così: “L’unico destino è esser travolti da una fatica sempre più grande e sempre fatale. Più lavoro e meno risorse, meno tempo, meno vita”. Saviano chiude la riflessione citando André Breton che, essendo il poeta del surrealismo, forse fornisce la chiave giusta per l’intera vicenda.
 

E potremmo fermarci qui se non fosse che, a volte, è utile fare un tagliando al nostro, come si dice, modello di sviluppo. Infatti, Saviano guarda alla realtà con lenti deformanti: nulla di ciò che lamenta trova riscontro nei dati. E se l’orrore esprime un sentimento soggettivo e come tale non discutibile, non è vero che l’umanità del 2023 abbia meno risorse, meno tempo e meno vita rispetto a quella del 1923 (quando Breton dava alle stampe la raccolta “Clair de terre” con un ritratto eseguito da Pablo Picasso). O, se è per questo, di qualunque anno nel passato.

 

Abbiamo meno vita? L’aspettativa di vita alla nascita, in media, è di 71 anni: era meno della metà, 34 anni, solo un secolo fa. Sebbene vi siano enormi differenze tra paesi – che riflettono la diversa distribuzione del benessere materiale tra le aree del globo – il paese dove oggi si vive meno, il Ciad con appena 52,5 anni, ha un’aspettativa di vita superiore alla vasta maggioranza delle nazioni nel 1923 (tra quelle per cui disponiamo dei dati, solo quattordici se la passavano meglio, ed erano tutte in Europa più gli Stati Uniti). L’Italia, per esempio, stava ben sotto (51,4 anni). Si dirà: questo è un effetto ottico, l’aspettativa di vita alla nascita è cresciuta così rapidamente non perché si sia allungata la vita, ma perché abbiamo smesso di morire da piccoli. In effetti – sempre in media globale – la mortalità dei bambini con meno di cinque anni è crollata, negli ultimi trent’anni, dal 9,3 per cento al 3,7 per cento. Ma anche l’aspettativa di vita per un quindicenne è cresciuta da 62 a 76 anni rispetto al 1950. 

 

Saviano potrebbe obiettare: sì, viviamo più a lungo, ma è una vita più povera perché abbiamo meno risorse e meno tempo. Al contrario, il valore dei beni e servizi consumati ogni giorno dall’essere umano medio è cresciuto da 11,7 dollari nel 1990 a 18,2 nel 2019 (al netto dell’inflazione e a parità di potere d’acquisto). L’apporto calorico quotidiano è balzato da 2.181 chilocalorie nel 1961 a 2.947 oggi. Le persone denutrite sono scese dal 13,2 all’8,9 per cento del totale negli ultimi vent’anni (una tendenza che sembra essersi invertita nel periodo più recente, cosa che dovrebbe preoccupare molto). Tali risultati straordinari non sono stati raggiunti al costo di una specie di nuova schiavitù. Se un secolo fa un italiano passava sul posto di lavoro almeno 3.000 ore l’anno, oggi ve ne spende circa millesettecento. Una popolazione non più analfabeta può e sa, e nel passato non poteva e non sapeva, scegliere come riempire il tempo libero: dallo sport alla didattica online, dal leggere un libro a seguire una serie tv. Altro che rimpiangere l’età dell’oro: il nostro presente è di gran lunga preferibile a ogni epoca precedente. 

 

In sintesi, viviamo vite più lunghe, più sane, più ricche, meno opprimenti e forse persino più felici. Dovremmo ringraziare proprio quel progresso tecnologico che, secondo Saviano, non ha mantenuto le promesse, e che invece secondo ogni indicatore misurabile lo ha fatto. La soluzione del rebus non sta in qualche testo sacro dei liberisti, ma nelle pagine di Karl Marx e Friedrich Engels: “Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni”.
 

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