il debunking
L'autogol di Landini sul cuneo fiscale
Per il leader della Cgil con il taglio di 7 punti dei contributi i soldi in più in busta paga “sono pochi”. Ma sono di più rispetto ai 5 punti che chiedeva la Cgil fino a un mese fa. Non si sa se al sindacato manchi la serietà o una calcolatrice
La contrapposizione politica e di interessi è il sale della democrazia, ma deve partire dal rispetto della realtà. Altrimenti è guerra tra propagande. Non è stata rispettosa della verità Giorgia Meloni che, approvando il decreto Lavoro, ha parlato del “più importante taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni”. Ma non è stato da meno Maurizio Landini che, anzi, nella deformazione dei fatti è andato persino oltre il video promozionale della presidente del Consiglio. Il leader della Cgil è arrivato anche a rinnegare se stesso.
Intervistato da Giovanni Floris a “Di martedì”, Landini ha bocciato completamente il taglio del cuneo fiscale fatto dal governo: “I soldi sono pochi, sono lordi e sono una tantum”, è stata la sentenza. Se questa è la critica del segretario generale della Cgil, dovrebbe rivolgerla prima a se stesso. Perché le risorse messe in campo dal governo saranno anche poche, ma superiori alle richieste del sindacato. Con i 4 miliardi aggiunti dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti con il Def, la riduzione dei contributi a carico dei lavoratori è salita dal 2 al 7% i redditi fino a 25 mila euro, e dal 2 al 6% per i redditi fino a 35 mila euro. Maurizio Landini chiedeva di meno: il 5%.
A novembre 2022, quando era in discussione la proroga della decontribuzione di 2 punti introdotta dal governo Draghi in scadenza a fine anno, Landini chiedeva “che il taglio del cuneo fiscale non sia di 2 punti ma di 5 punti”. Con la legge di Bilancio, il governo decise di aggiungere un altro punto e di destinarlo sempre ai lavoratori anziché alla imprese: furono stanziati 4,6 miliardi per 3 punti di decontribuzione. La Cgil e la Uil decisero di scioperare comunque, mettendo come primo punto della piattaforma dello sciopero generale la richiesta di “Aumentare i salari portando la decontribuzione al 5 per cento per i salari fino a 35 mila euro”. Ancora poche settimane fa, il 17 aprile, in audizione parlamentare sul Def, sul taglio del cuneo fiscale la Cgil chiedeva “che si arrivi al 5% per i redditi medi e bassi”. Cinque punti erano più che sufficienti, ma ora che il governo è arrivato a un taglio di 6-7 punti sono “pochi”. Tanto o poco è una valutazione soggettiva, ma se viene ritenuto scarso un risultato superiore alle proprie richieste la Cgil dovrebbe forse chiudersi in una stanza, fare una valutazione critica della propria piattaforma e schiarirsi le idee prima di esprimerle in pubblico.
Anche la critica di Landini che i maggiori soldi in busta paga “sono lordi” è davvero surreale. Perché è stato il sindacato a chiedere il taglio dei contributi, ed è ovvio che un intervento del genere comporta un incremento del reddito su cui si paga l’Irpef. È strano che Landini se ne accorga ora e ridicolo che accusi Meloni per aver fatto esattamente ciò che egli chiedeva. Sul fatto che la misura sia una tantum è vero, ma Landini riesce a contraddirsi poco dopo. “Raccontano una cosa non versa, dicono ‘Diamo 100 euro d’aumento’. In realtà 40 euro li abbiamo già ottenuti con Draghi scioperando. Quello che adesso mettono è 50-60 euro per sei mesi”. Qui è Landini a lanciarsi in affermazioni “non vere”. In primo luogo non è vero che il taglio di 2 punti di contributi è stato ottenuto dagli scioperi dei sindacati. Il primo sgravio di 0,8 punti c’è stato con la legge di Bilancio 2022, contro cui dopo la Cgil e la Uil hanno scioperato. Successivamente, ad agosto 2022, per far fronte alla crisi energetica con il decreto Aiuti-bis l’esonero contributivo è stato alzato a 2 punti. Ma lo sciopero generale non c’entra nulla. Inoltre, è scorretto sostenere che dell’attuale aumento della busta paga “40 euro li abbiamo già ottenuti con Draghi”, perché anche l’esonero contributivo di Draghi era una tantum e scadeva a dicembre 2022.
A prolungare quel taglio del cuneo contributivo nel 2023 è stato il governo Meloni. A meno che Landini non intendesse dire che una volta approvato uno sgravio contributivo, anche se una tantum, poi tende a essere prorogato e quindi Meloni è stata “costretta” a rinnovarlo. Ma se questo è il ragionamento, allora si attenua notevolmente anche la critica sul taglio di 7 punti dei contributi che è una tantum, perché evidentemente il governo sarà costretto a prorogarlo in sede di legge di Bilancio anche perché alla vigilia delle elezioni europee del 2024.
Il sindacato deve confrontarsi e anche scontrarsi con il governo, ma avendo rispetto dei numeri e della realtà. Nel 2007 l’architrave della politica economica del governo Prodi fu un taglio del cuneo fiscale di 7 miliardi, ma diviso per il 60% a favore delle imprese e per il 40% a favore dei lavoratori. Quest’anno, tra legge di Bilancio e Def, il governo Meloni ha destinato 8,6 miliardi tutti ai lavoratori. Rispondere con la “mobilitazione” di piazza perché “sono pochi e sono lordi” vuol dire fare demagogia, che una pratica che più che al sindacato spetta alle opposizioni. Quelle poco serie, ovviamente.