Commissariamento Inps, Tridico si scaglia contro il metodo Tridico
“È una decisione immotivata e indegna", dice il presidente dell'Inps riferendosi al commissariamento deciso dal governo. Ma lui arrivò ai vertici dell'Istituto con un commissariamento e per la sua fedeltà al M5s. Tridico non può lamentarsi di come esce dall’Inps senza ricordare come ci è entrato
Ora c’è solo da capire se la dichiarazione piccata di Pasquale Tridico sia dovuta a perdita della memoria oppure della vergogna. “È una decisione immotivata, indegna, incomprensibile sul piano istituzionale e gestionale. Pura aggressività politica che reca danno anche alla credibilità delle istituzioni”, ha detto il presidente dell’Inps riferendosi al decreto del governo che commissaria l’istituto previdenziale. “Un ente pubblico – ha dichiarato alla Stampa – si commissaria quando c’è malaffare, quando c’è corruzione, dissesto finanziario oppure un cambio di governance vera”.
Le dichiarazioni di Tridico, così piene di passione civile e senso delle istituzioni, si scontrano però con il fatto che lui sia stato messo ai vertici dell’Inps proprio attraverso un commissariamento. Le sue parole ricordano molto quelle pronunciate, sempre alla Stampa, all’inizio del 2019, dal suo precedessore, anche se Tito Boeri usò toni meno indignati: “L’Inps non si merita il commissariamento. Non c’è nessuna ragione per farlo: non ci sono né problemi di funzionamento, né fatti gravi. Se accadesse, sarebbe un modo di esautorare il Parlamento che ha un ruolo importante nella procedura di nomina”. Poco dopo arrivò il commissariamento di Tridico, quello contro cui oggi Tridico si scaglia scandalizzato. Amnesia o faccia tosta?
Propendendo per la prima, è il caso di rinfrescare la memoria sulla lottizzazione e sulla politicizzazione delle agenzie e della autorità indipendenti da parte del M5s. Nel luglio del 2018, quando nella relazione tecnica del decreto Dignità comparve una stima di 8 mila disoccupati in più prodotta dall’Inps, il ministro del Lavoro Luigi Di Maio accusò Boeri di “slealtà istituzionale” e di “fare opposizione al governo”, invitandolo a lasciare il posto a una persona evidentemente allineata: “Si dovrebbe dimettere”, disse. Cosa faceva all’epoca Pasquale Tridico? Era il consigliere di Di Maio proprio sul decreto Dignità. Disse qualcosa sulla “pura aggressività politica che reca danno anche alla credibilità delle istituzioni”? Non risulta.
Qualche mese dopo, il 30 dicembre 2018, con un articolo della legge di Bilancio venne rimosso dalla presidenza dell’Anpal Maurizio Del Conte, al solo fine di poter mettere al vertice dell’agenzia delle politiche attive Mimmo Parisi, il “papà dei navigator” che veniva dal Mississippi (con i risultati disastrosi che sono sotto gli occhi di tutti). Nel caso di Del Conte, la rimozione avvenne senza prevedere alcuna riforma della governance (come invece è accaduto per l’Inps): un puro atto d’imperio. Cosa faceva all’epoca Pasquale Tridico? Era il consigliere di Di Maio proprio sul Reddito di cittadinanza e i navigator. Disse qualcosa su “una decisione immotivata, indegna, incomprensibile sul piano istituzionale e gestionale”? Non risulta.
Stava zitto Tridico, perché lui che si era candidato con il M5s per fare il fantaministro, di questa pratica politica che vede le istituzioni come un bottino di guerra è stato il massimo beneficiario: è stato nominato prima commissario dell’Inps – esattamente ciò che oggi critica – e poi presidente. E ha diligentemente ripagato chi lo ha piazzato in Via Ciro il Grande allineando l’Inps al governo e trasformandola addirittura in una sorta di agenzia di comunicazione per supportare le politiche del M5s, piegando i numeri a favore della propaganda. Arrivò a dire, il presidente dell’Inps, che in un anno il Reddito di cittadinanza aveva ridotto la povertà del 60 per cento: la bugia venne subito rilanciata dal Blog delle stelle.
Non sono gli unici casi. Il partito di Tridico scatenò campagne politiche e linciaggi mediatici contro i tecnici sospettati di “sabotare” l’azione del governo Conte: prima la “megavendetta” contro i “pezzi di merda del Mef” (Rocco Casalino dixit) che colpì Daniele Franco, all’epoca Ragioniere generale dello stato, e l’allora capo di gabinetto del ministro Tria, Roberto Garofoli, costretto alle dimissioni; poi l’intensa campagna contro Mario Nava, anch’egli indotto alle dimissioni da un’autorità indipendente come Consob; oltre ai già citati casi di Boeri all’Inps e Del Conte all’Anpal.
Quella “pura aggressività politica” portò all’uscita di tecnici indipendenti, accusati di “fare politica”, e sostituiti da personalità politicamente allineate. Un’occupazione militare delle istituzioni. È lo stesso deprecabile metodo utilizzato ora dal governo Meloni. Ma gente come Tridico non può lamentarsi di come esce dall’Inps senza ricordare come ci è entrato. E se lui l’ha dimenticato qualcuno deve ricordarglielo.