il problema abitativo
L'icona della universitaria in tenda e qualche verità sui “diritti” e lo student housing
Milano è costosa, anche troppo. Ma non esiste il diritto ad abitare in città. Per aumentare la disponibilità di alloggi universitari ci sono dei progetti. Ma servirà tempo e soprattutto soldi: nessun posto letto è gratis
L’iconografia dei diritti sofferenti è in evoluzione costante, e del resto è costante anche la fame dell’informazione empatica che brama sempre nuove icone per l’ostensione. Nel catalogo de doléances l’ultima apparizione è l’Universitaria con la tenda. A materializzarla, una studentessa del Politecnico di Milano che la settimana scorsa ha piantato una tendina sul praticello dinanzi al Poli per dare visibilità alla sua protesta: “La situazione qui in città è impraticabile. Sono andata a visitare un numero indeterminato di case e per tutte chiedevano per una singola dai 700 euro in su, senza le spese”. Lei sente “tutta la precarietà della situazione”. L’informazione lacrimevole (ma un pochino fuorviante) ha steso il tappeto rosso e lo scorso weekend altre tende si sono affiancate, fino a sette, in una improvvisata Occupy Poli. “Sin dal primo giorno questa tenda ha voluto rappresentare non un singolo, ma tantissime persone in difficoltà perché gli affitti a Milano sono davvero insostenibili”. Il gran fritto d’indignazione suscitato dall’accampamento si innesta su un mood farlocco, quello di Milano “città che respinge”, e su un tema invece concreto e che sta forse arrivando un punto di svolta, quello delle politiche residenziali a Milano. Ma occorre segnalare una cosa: la crisi delle abitazioni non c’entra, se non di sponda, con quella della mancanza di residenze universitarie.
L’Universitaria con la tenda si è detta comunque “felicissima, perché per la prima volta assaporo la vita universitaria”. Ma conviene partire da un po’ di debunking rispetto a “tutta la precarietà della situazione” che ha denunciato. Milano è costosa, sì. Anche troppo: ma perché è attrattiva, e non respingente. E soprattutto non esiste obbligo – né tantomeno diritto – di abitare in città. A Pioltello, per stare nella metropoli est, o a Gessate (Metro verde), dove pure la giovane fuori sede aveva vissuto, si possono trovare alloggi per molto meno di 700 euro. Non esiste il diritto ad abitare in città, esattamente come non esiste il “diritto al lusso” di Soumahoro. La studentessa di Alzano Lombardo lamenta che ci metterebbe coi mezzi “circa due ore”. Tralasciando che GoogleMaps dice un’ora e 35, non infattibile come sa chiunque nella vita abbia fatto il pendolare (e l’università non inizia alle 6 di mattina, come Vincenzina alla fabbrica), dovrebbe forse lamentarsi con Regione e Stato perché non esiste un’adeguata rete di trasporti. Ma quando dice “tutti dovrebbero avere l’opportunità di vivere a Milano e di scegliere se fare i pendolari”, le cose semplicemente non stanno così. Nonostante le lacrimucce d’ordinanza dei commentatori.
C’è poi un secondo aspetto: nessun posto letto è gratis. Nei campus della Bocconi una stanza costa dai 700 euro al mese in su, per la Cattolica si parte dai 450. Negli alloggi della Statale si è sui 250, vero: ma solo per le fasce di reddito agevolate, e vi possono accedere solo studenti che risiedano a oltre 90 km da Milano (Alzano Lombardo è a meno di 60). Che ci sia speculazione da parte dei privati che affittano posti spesso inadeguati, è sicuro. Ma gli affitti elevati, in città, derivano dai costi elevati da affrontare per metterli a disposizione, anche da parte di enti o atenei.
Esiste, ovviamente, un grave ritardo nazionale sugli alloggi universitari, che va però tenuto però distinto da quello delle case popolari – che non possono essere assegnate a studenti, anche se la politica prova a cavalcarlo. A Milano il conto è che i posti mancanti siano 16 mila all’anno. Due anni fa la Lombardia riusciva a coprire solo il 10 per cento della domanda (secondo uno studio di Cdp la media nazionale è all’8 per cento). Ma che proprio nulla si faccia in materia, non è vero. Entro il 2024 la Statale raddoppierà i posti per i fuori sede, che oggi sono un migliaio. E con ciò, spiegano, “riusciremo ad accogliere tutte le domande degli studenti che per merito e reddito, con un Isee sotto i 23 mila euro, hanno diritto a borsa di studio e alloggio, quest’anno erano 1.200”. Il Poli nel 2023 aggiunge 600 posti ai suoi 1.700, Bicocca ne ha 700 ma nel 2024 aprirà un nuovo campus. Ancora poco, certo, anche perché gli investitori privati nel settore di host per studenti (gli olandesi di The Student Hotel, ora The Social Hub, o gli americani di Hines hanno rallentato, o offrono soluzioni molto costose). Carlo Calenda ha proposto l’idea (segnalata per primo proprio dal Foglio) di usare i palazzi lasciati vuoti in città dallo smart working come residenze universitarie. Ma neppure la riconversione è gratis. E c’è soprattutto il Pnrr che per lo student housing ha messo a disposizione circa un miliardo di euro, assegnati al Mur. Entro il 2026 il piano dovrebbe garantire nuovi 60 mila alloggi, mentre la legge di Bilancio 2023 ha stanziato 400 milioni per altri 14 mila posti. Lottare per avere migliori servizi è sempre giusto: ma è meglio sapere che il diritto alla casa in città non esiste, e che nessun posto letto è gratis.